domenica 20 settembre 2009

Vertigo-go (reprise)


Me lo ricordo da quand'ero alto così, Philippe Petit. La sua impresa nello spazio aereo fra le Twin Towers, nel settantaquattro, finì su tutti i giornali. Anche sul "Corriere", che a casa Voglino arrivava puntuale tutti i giorni.
All'epoca, scrutando la foto di quel piccolo uomo che se ne andava a spesso a quattrocentocinquanta metri da terra, non immaginavo certo che le vertigini che mi strizzavano lo stomaco fossero un presagio. E vedendo Man on Wire con questa consapevolezza, rivivendo quell'esperienza a oltre trent'anni di distanza, mi coglie il sospetto che il documentario ambientato fra quelle torri scomparse sintetizzi la fine dell'infanzia di tutti i figli del boom meglio di qualunque 11/9/2001, di qualunque World Trade Center o di qualunque United 93.
Il film del funambolo che conquistò il cielo sopra New York armato solo di un cavo e un bilanciere è l'inizio del film di quelli nati fra i sessanta e i settanta. Il racconto di un'epoca molto ragazzina, nel bene e nel male. Spericolati, coloriti, incoscienti, complicati, irrazionali, imprevedibili, incrollabili, scomposti, per chiunque coltivi l'arte del sogno a occhi aperti quegli anni restano un modello. E per questo, tutti i Philippe Petit che li hanno attraversati sul filo leggerissimo e contorto delle loro ossessioni meriterebbero un monumento.
Nel libero mercato delle idee prodotte in serie, degli eventi pilotati e delle etichette facili, nel brusio indistinto del qui ed ora, storie come quella di Philippe il funambolo dai muscoli d'acciaio e della sua ossessione ardono come fari nella notte.
E aiutano a pensare che, certo, oggi no. Ma domani, magari, un altro mondo sarà possibile.
In soldoni: "Man on Wire" è assolutamente da vedere.

Chi se lo fosse perso, può recuperarlo giovedì 24 settembre alle 23 su Cult.

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