mercoledì 30 dicembre 2015

mercoledì 16 dicembre 2015

Il potere della Forza

Che la gnagna sia con te
Cose che funzionano, cose che un po' boh. Alla fine, quelle che funzionano fanno pendere la bilancia dalla parte giusta, ma senza troppa euforia: perché stringi stringi, questo nuovo capitolo di Star Wars altro non è che un remake aggiornato al format Imax del leggendario primo (quarto?) episodio della serie, un curioso oggetto cinematografico a metà fra l'affettuoso omaggio ai tempi che furono e il diabolico prodotto di marketing realizzato ad hoc per quelli che si erano persi il meglio (leggi: il merchandising) per motivi squisitamente anagrafici. E allora: un bello spettacolone vertiginoso e infarcito di colpi di scena, diversi personaggi riusciti, archetipici il giusto e perfettamente sintonici al grande passato di Star Wars. Splendide creature organiche e meccaniche e digitali perfettamente integrate in scenari dal vivo degni di un Lean o di una Riefenstahl. Una trama molto basica e molto universale, lontana mille miglia dall'inutile, incomprensibile geopolitica intergalattica della seconda trilogia e intessuta di rivelazioni e agnizioni telefonate ma efficaci. E soprattutto, niente Jar-Jar Binks.
Piacerà? Piacerà, e di brutto, soprattutto a chi non ha vissuto i bei tempi dell'epopea originale. Chi invece c'era, si porterà a casa un paio di spunti narrativi che promettono discretamente, almeno un paio di guerrieri stellari forse troppo monodimensionali ma comunque degni di maneggiare una spada laser, un robottino strappabaci che di più proprio non si poteva, qualche facile scorciatoia a livello di script. Ma anche un retropensiero paradossale: la consapevolezza che a livello di ricerca visiva, production design e sperimentazione i tre pur sgangheratissimi Star Wars prodotti da Lucas nel nuovo millennio nel bene e nel male osavano molto più di questo perfetto ma un po' algido e calcolatissimo "The Force Awakens". Incassi stellari in arrivo: Ma per un parere conclusivo, meglio aspettare i prossimi episodi, e nel frattempo godersi i pupazzielli.

giovedì 3 dicembre 2015

Trappola in alto mare




Sembra scritto da un maestro d'ascia, At the heart of the Sea - Le origini di Moby Dick. Ma pur zavorrato dalla stessa pedanteria didascalica di un vecchio sceneggiato Rai, il nuovo film di Ron Howard arriva in porto. Merito del regista, più discontinuo del solito ma comunque abile a ribaltare in faccia allo spettatore le suggestioni action dello script con un racconto che liquida ogni baldanza nella prima mezz'ora per poi virare verso il dramma survivalista e proletario. E merito dei membri del cast, per dirla con Zoolander troppo figosi e ovviamente condannati alla bromance, ma comunque capaci di incarnare il succo di un lungo viaggio per mare - il freddo, la fame, la solitudine, la disperazione, l'abiezione, la follia. Il limite autentico di questa nuova storia di sopravvivenza di Howard semmai sta nel suo essere pura maniera, nella confezione regalo da grande racconto universale però costretta a infrangersi contro la corrente avversa di un cinema che ormai ha saputo trascendere le trappole del genere, e in pochi decenni ci ha regalato i fumetti abissali di Gore Verbinsky, gli oceani inconoscibili di Peter Weir, i mari nerissimi di Spielberg. E che nella sua algida prevedibilità da spettacolone digitale a vocazione global, paradossalmente rinuncia subito a ogni pretesa di resilienza, per consegnarsi all'effimero. Finché stai dentro il film, intendiamoci, tutto bene. Ma appena usciti dalla sala, il senso della storia evapora, come il miraggio della Balena Bianca, o le vanterie di un vecchio pescatore in una bettola di Nantucket. Visti da qui, Apollo 13 e Rush sembrano lontanissimi. Ci sta.