lunedì 23 marzo 2015

Giocando in casa




Non c'è niente di particolarmente innovativo, in Home - A casa, il lungometraggio animato della Dreamworks che segue di pochi mesi il flop I pinguini di Madagascar.
Ma al netto delle scelte rassicuranti sul piano della trama e della caratterizzazione, la trasposizione in film del best seller di Adam Ray è un film irresistibile, toccante, disneyano nella senso migliore del termine, cioè nell'equilibrio fra sorriso e melò, molto vicino nello spirito a bei film per famiglie come E.T. - L'extraterrestre o Lilo & Stitch pur nella sua distanza dalla poetica di Spielberg o Chris Saunders o nel riciclo un po' cheap di certe soluzioni narrative (quel capitano Smek così simile a tanti altri re sbruffoni di casa Dreamworks...).
E insomma, è un peccato che il film arrivi sugli schermi solo poche settimane dopo l'annuncio del pesante ridimensionamento degli studios di animazione californiani, con il licenziamento di centinaia di animatori e il drastico ridimensionamento dei film in lavorazione. Perché la storia scorre che è un piacere, il conceptual design del film oscilla piacevolmente fra Magritte, Roger Dean e la scuola di Metal Hurlant, i tempi comici sono il più delle volte azzeccati, la scrittura agile. E pazienza se il finale del film suona scontato come quelli di tanti filmetti per famiglie: a compensare l'eccesso di zuccheri c'è la simpatia weirdo fra il polipetto gommoso Oh e la sua best buddy umana. Una strana roba insinuante che cresce nella panza man mano che il film procede, e insieme a quanto sopra lo eleva diversi gradini più in alto di tanti compitini in CGI arrivati sugli schermi negli ultimi anni.

lunedì 16 marzo 2015

Croci e delizie



E insomma, che Robert Kirkman sia il golden boy del fumetto a stelle e strisce non è una novità.
Che in tempi di inquietudine l'horror spopoli, nemmeno.
Ci si chiedeva, semmai, se uno che ha costruito la sua fortuna sulla carne marcescente di un'apocalisse zombie costruita sugli stilemi sessantottini di George A. Romero fosse in grado di ripetere il boom con quelli solo poco meno stagionati di William Friedkin.
Perché, stringi stringi, Outcast questo è: il nuovo esercizio di stile del Re Mida dei comic book a partire da L'esorcista.
Trattandosi di una serie, è impossibile spremere un'opinione esaustiva dalle prime sessantaquattro tavole di ciccia. Qualche indizio sulla bontà del prodotto, però, c'è: personaggi solidi, stratificati, forieri di chiaroscuri molto Coen Bros. (è il West Virginia, bellezza, Brianza velenosa yankee quindi). Un disegno che per sintesi, economia ed efficacia rimanda al Mazzucchelli commerciale (sic) di Batman e Devil; e il talento di Kirkman per le trame vischiose costruite seminando indizi come briciole lungo un sentiero che è quello affascinante e impervio delle fiabe oscure. Un prodotto dichiaratamente sotto la cintura in tematiche come violenza domestica e spiritualità, sorprendentemente bilanciato nelle atmosfere, piacevolmente intorcinato nel plot,
Ma fa davvero cacare sotto, il nuovo horror della Saldapress? Qui il discorso si fa più sfumato. Perché  sì, l'inquietudine serpenteggia qua e là e soprattutto durante l'esorcismo disegnato magnificamente che costituisce il piatto forte del primo volume, disponibile al miserabile prezzo di lancio di un euro. Ma in mancanza di un arco narrativo compiuto, a fine corsa la testa prende il sopravvento sullo stomaco e si finisce per ritrovarsi appesi allo stile allusivo dello sceneggiatore, alla promessa di fatti di là da venire, a intrighi nerissimi ancora tutti da approfondire. Terrore puro, invece, la periodicità bimestrale: ogni continua nel prossimo numero è roba da padre Amorth. Maledetti serial maledetti.

giovedì 5 marzo 2015

L'aperiscena


Focus - Niente è come sembra è esattamente il genere di film che a suo tempo avrebbero affidato a Tony Scott.
E che nelle mani di un Tony Scott (o David Fincher, o Chris Nolan...) sarebbe potuto diventare un piccolo classico del cinema truffaldino.
Location da paura, auto veloci, macchine celebri, vestiti firmati, cinesi cattivi, marioli di buon cuore, donne fatali. E una sceneggiatura magari non sempre a fuoco nel suo mix di truffe, sorrisi e melò, ma comunque piuttosto efficace.
A Glen Ficarra e John Requa difettano però la frenesia visiva di Scott, l'eleganza formale di Fincher o il talento illusionistico di Nolan. Così, il film si risolve nell'equivalente filmico di una flûte di prosecco in un locale di tendenza: una buona occasione per sparare quattro cazzate con gli amici, buttare l'occhio sulla fauna o sulle cabrio parcheggiate nel dehors e godersi un po' di tunza a volume ignorante. L'ideale, insomma, se cerchi un modo per abbuffarti badando più al condimento, all'aspetto e alla quantità piuttosto che alla qualità intrinseca di quello che ti ritrovi nel bicchiere o dentro il piatto.
Chi si contenta, godrà: Will Smith e soprattutto Margot Robbie valgono il prezzo smargiasso del biglietto, i colpi di scena sono tutti seminati nei punti giusti, le tensione narrativa tiene, i botta e risposta salaci scoppiettano qua e là come bollicine. Il tutto, senza spendere una Stangata. Ah, ah, ah.

martedì 3 marzo 2015