martedì 30 aprile 2013

Non ci facciamo mangare niente


Dal 3 maggio, nella spettacolare cornice Milanese della Rotonda di via Besana, fumetti e cartoni giappo a tutto spiano: parte "200 anni di Arte manga", mostra-monstre dedicata alla crema dell'arte sequenziale dagli occhi a mandorla. 500 tavole da leggere al contrario: dalle opere di padri nobili come il leggendario Hokusai, alle invenzioni di poeti del fantastico come Osamu Tezuka, fino alle recenti produzioni a cavallo dei media fra cartoon, fumetti, giocattoli e videogame. Un viaggio vertiginoso in un mondo che ormai definitivamente sdoganato dalle Tv e dai fumetti oggi sembra aver perso un po' del suo smalto, ed è pronto per essere riscoperto. Girando in tondo.

lunedì 29 aprile 2013

Pedalino Stagionato


Eric Clapton ha trovato un titolo ideale per il suo ultimo, ehm, lavoro discografico - la canonica collezione di "cover dedicate ai brani della mia gioventù"che segna la carriera di quelli che musicalmente non hanno più un cazzo da dire, ma necessitano argent de poche.
Il disco è argutamente titolato Old SockVecchio calzino, perché Clapton è autoironico, ah ah ah, e ovviamente è la solita pippa à la slowhand, che parafrasando l'immenso Zappa potremmo sottotitolare altrettanto argutamente A small eternity with Eric Clapton.
Contestualmente, Clapton trova anche il tempo di aggiornarci sul fatto che in realtà i Led Zeppelin non gli sono mai piaciuti.
Eric, potevi dirlo trent'anni fa, quando Jimmy Page & friends ti avrebbero cancellato dalle carte geografiche a calci nel sedere.
Eric, ecchiccazzosenefrega. Metti su When The Levee Breaks e pèèèntiti, misurando la distanza siderale fra una cover e una Cover, un fighetto e un Chitarrista, un pallone gonfiato e un dirigibile.
Eric, gli Dei del rock ti castigheranno a dovere in separata sede, e con raffinatezze di crudeltà. Io ti mando la Tessera. Per posta aerea. Via Zeppelin.


sabato 27 aprile 2013

Da Vinci's Demens



Prendere la Storia con la esse alta, sminuzzarla, impastarla con la propria visione narrativa, tirarne fuori qualcosa di nuovo e acchiappante. Ultimamente, è un gioco che funziona. E a volte, pure piuttosto bene. Vedi Inglorious Bastards. Vedi Assassin's Creed. Vedi Lilith, e per certi versi pure lo Spartacus della Starz, tamarro come un ramarro ma più accurato di quanto uno potrebbe pensare. Poi ci sono i casi in cui proprio la gggente se ne passa, e dall'ucronia si scivola direttamente nella u-puttanata. Ecco, "Da Vinci's Demons", quello è: una u-puttanata col botto. L'idea di David Goyer era applicare al giocondo Leonardo le formule revisioniste già viste nello Sherlock Holmes di Guy Ritchie. Ecco quindi il genio rinascimentale con ciuffo ingellato e chiodo da biker ante-litteram, svelto con la sciabola e con la mano a cucchiaietto e ovviamente incline al consumo di alcolici e drogucce mescaline.
Con un interprete decente e una regia decente, chissà: la cosa avrebbe pure potuto funzionare. Ma qui, sfiga vuole che Leonardo ricordi sinistramente il leggendario Gabriel Vanto di "Mai dire lunedì". E Goyer scrive e dirige con la leggerezza di un lanzichenecco, trasformando Leonardo in un Derek Zoolander tutto urletti e mossette, circondandolo di antagonisti forzatamente machiavellici, tentando di dare respiro a una trama esangue con un po' di mistery à la Dan Brown. Insopportabile, se non come guilty pleasure, e assolutamente, irrimediabilmente passè. Viene il sospetto che Goyer sia molto più bravo a vendersi che a inventare. Un po' come il suo Leonardo due punto zero.

giovedì 25 aprile 2013

C'è chi apprezza la monnezza


Garbage Patch State. Ovvero, un Paese fatto di rifiuti. Sembra solo un'iperbole, una leggenda urbana, una provocazione artistica firmata da Maria Cristina Finucci giusto in tempo per la prossima Biennale di Venezia. In realtà, l'«Isola di plastica grande quanto il Texas» di cui si favoleggia non da oggi esiste davvero, ed è ormai pronta per fare Storia a sé. Ce la racconta in tutti i sordidi dettagli un sito spaventosamente divertente a metà fra documentario e horror post-moderno: qui tutta la ciccia gommosa e assolutamente non biodegradabile.

martedì 23 aprile 2013

Piatto Ditko mi ci ficco

001 Edizioni più Fantagraphics più una grande idea: quella di restituire un minimo di dignità editoriale al più underground degli autori mainstream fra gli Anni sessanta e gli Anni ottanta. Da qui, "Suspense Stories", il bel volume di 128 pagine che raccoglie sotto una cover suggestiva e brividosa le storie realizzate per la Charlton Comics dal creatore grafico di Spider-Man fra il 1964 e il 1965. Quindici euro, per cotanto libro, si possono spendere a cuor leggero. Fàmolo. Sperando che le cose vadano benino, e che la dicitura "vol. 1" non resti solo un pio desiderio: sarebbe un gran peccato.

sabato 20 aprile 2013

Ritrovarsi

Ritrovarsi davanti alla porta di casa, a centosessantotto giorni da quando hai tolto la chiave dalla toppa. Ritrovarsi cambiato, con qualche punto bianco in più fra barba e capelli e un fanciullino interiore ormai irrimediabilmente maggiorenne che esige sigarette e chiavi dell'auto di casa. Ritrovarsi alla ricerca di equilbri nuovi, nei risvolti più nascosti della panza ma anche in quelli più illuminati del soggiorno - e no, la mia Poang non la cedo a nessuno. Ritrovarsi con uno spagnolo insospettabilmente decente e un italiano forzatamente pulito, perché di fronte ai bambini tocca moderare il linguaggio. Ritrovarsi a Milano, e trovarla sempre bruttarella, nonostante tutto. Ritrovarsi in cucina un sacco di parole nuove,oltre a tutto quello che serve per fare un guacamole ancora migliore, compreso l'apposito schiacciavocado. Ritrovarsi insolitamente ottimisti, nonostante i titoli dei quotidiani. O forse proprio perché di fronte al terremoto non si può fare altro che rimboccarsi le maniche e ricostruire. Ritrovarsi con qualche conto in sospeso da gestire, ma anche con qualche idea su come riuscirci, perché il tempo per riflettere non è mancato. Ritrovarsi un sacco di visioni arretrate da recuperare, vedere, leggere, studiare, commentare, sempre senza prendersi troppo sul serio. Ritrovarsi con qualche Storia da approfondire e con qualche storia da raccontare. Ritrovarsi un paio di amicizie nuove rosolate nel fuoco lentissimo di Guadalajara, e sentire la piacevole responsabilità di coltivarle. Ritrovarsi in famiglia, a tu per tu con una nuova identità. Ritrovarsi finalmente padre, e trovarsi un po' super-eroico: non dico Capitan America, ma almeno Capitan America Latina sì.

Storm (nel senso di tempesta)

Il creatore del leggendario Studio Hipgnosis oggi è poco pink, ma molto floyd. Atmosfera sognante.

martedì 16 aprile 2013

"Dico ciò che pensano in milioni"

Ooops, no, scusate, ho sbagliato foto.
Questa l'ha detta Renzi.

Cattivi

Freddy Kruger c'è. Ci sono anche Lex Luthor, Mr. Blonde e Norman Bates. Ma il gioco si fa davvero interessante con i villain di culto. Come Clarence Boddicker, quello che dopo l'arresto da parte di Robocop scaracchia sangue sulla scrivania della questura per sottolineare l'urgenza della sua "cazzo di telefonata". O il Kim Jong Il attualissimo di "Team America: World Police". O il boss criminale di "Cliffhanger" (nome: Eric Qualen. Ora lo so). E ogni animaccia nera ha la sua bella scheda riassuntiva con tanto di fedina, pardon, pagella. La url, didascalica fino al midollo, è www.movievillains.com. E il migliore dei peggiori pare Pennywise, il pagliaccio assassino di "It". L'ho sempre pensato: Tim Curry sarebbe stato un ottimo joker.

sabato 13 aprile 2013

E dopo Diego, Frida.

La Casa Azul.
La guida ci dice che per visitarla mezz'ora basta e avanza, perché è poca roba.
In effetti, escluso il patio, gli spazi interni non superano i trecento metri quadri. Non molto, considerando che oltre a Frida la casa ha ospitato papà Guillermo, fotografo ufficiale del porfiriato, più mammà, più le sorelle Cristina, Matilda e Adriana, più un sacco di altra gente che capitava qui per dipingere, bere tequila, fumare, mangiare, dormire, cazzeggiare, discettare di magnifiche sorti e progressive.
Le camere di Frida e Diego sono sorprendentemente spoglie. Letto, armadio, qualche suppellettile, le maschere della tradizione e le sculture si cartapesta colorata, le campiture immacolate delle pareti sporcate solo da qualche dedica in rosso che incornicia i soffitti. La cucina con la tavola, le piattiere e le brocche. Eccentricità da artisti, neanche a parlarne. Una classica casa borghese, con qualche tocco di colore in più, ma senza eccessi. Una casa che accoglie, nasconde, abbraccia. Una casa museo che non sembra un museo, ma una casa.
Lo studio è al secondo piano, un corridoio di una quarantina di metri quadri con una vetrata che dà sul patio. A sinistra, contro la parete, una libreria. Saggi, reference, cose così. Al centro, un lungo ripiano, e gli attrezzi del mestiere. Il cavalletto, le risme di carta, i pennelli, le scatole con i pastelli a cera, le boccette di colore o diluente, le spatole, qualche piccola tela non troppo impolverata.
Le cose di Frida la raccontano molto meglio di tante biografie. Materassi piccolissimi, più di quanto immaginassi. Il letto a baldacchino con lo specchio che usava per gli autoritratti. Il guardaroba fitto di scialli e costumi coloratissimi per le quotidiane recite a soggetto. La vetrinetta stipata di biglietti, miniature di terracotta, scatole di cerini, rossetti, ditali, libriccini, portapillole, altri libriccini, forcine, braccialetti, specchietti, sigarette. C'è anche un minuscolo kitschissimo cessetto posacenere, che sembra ispirare la retorica indignazione del ritratto di Lenin che sbiadisce appoggiato sopra il piccolo mobile.
I busti. Sembrano scomodissimi. Ne conto quattro o cinque. Cuoio, metallo, cinghie e poi le coppe del decolleté. Accarezzo con lo sguardo la curva di un seno che mi sembra troppo florido da occultare sotto un abito maschile, come aveva fatto a suo tempo Frida per riuscire a iscriversi alla "Prepa", scuola riservata ai maschi. La vista della protesi che le era toccata dopo l'amputazione della gamba si porta via ogni eventuale tentazione maliziosa. Anche lì, però: la scarpa della protesi è rosso fuoco, con una discreta zeppa. La prima gamba finta sexy mai vista in vita mia.
Finalmente, i quadri. Non molti, per la verità, e neanche uno dei più famosi, che sono tutti al museo Dolores Olmedo, a qualche chilometro da qui. Un piccolissimo autoritratto realizzato colorando a olio una fotografia. Un paio di nature morte. Qualche ritratto di famiglia. E un autoritratto che non avevo mai visto: una Frida languida, serena, quasi sorridente, molto lontana dall'icona dolente e militante della tradizione.
Un'immagine troppo intima per essere condivisa, e forse lasciata lì incompiuta proprio per questo. Un fantasma, bellissimo, che mi porto via.

venerdì 12 aprile 2013

Bagno di folle

Era brutto, Diego María de la Concepción Juan Nepomuceno Estanislao de la Rivera y Barrientos Acosta y Rodríguez. Non bruttarello né poco attraente né insegnificante. Proprio brutto brutto, senza sconti, senza compromessi. Un corpaccione gelatinoso che si faceva prima a saltarlo che a girarci intorno, con una faccia che sembrava quella di un rospo impiastricciato di brillantina. In più, peggio mi sento, era pure comunista: una posizione politica che alle autorità messicane dell'epoca non piaceva granché, e che il presidente Gustavo Diaz Ordaz avrebbe brillantemente affrontato dieci anni dopo la morte del nostro con una bella fucilazione di massa in quel di Tlatelolco.
Torniamo a noi: se madre natura ti ha creato attraente quanto una stella del circo Barnum, come puoi fare a colmare il gap? semplice: come i ciechi, sfrutti tutto quello che ti resta. Il tuo ego. Le tue qualità. La tua forza d'animo. Le tue mani. Così, quando scopre di avere un minimo talentaccio per il disegno, Diego María de la Concepción Juan Nepomuceno Estanislao de la Rivera y Barrientos Acosta y Rodríguez prende e dal Messico se ne va in Europa a cercare l'ispirazione. Non la trova, ma in compenso si diverte. Trombando a casaccio, facendo da modello a Modigliani, fissando l'occhio pallato sulle opere dei grandi.
Poi, nel 1922, torna in Messico. E diventa Diego Rivera. Quello che si sposa Frida Kahlo. Due volte. Quello che ospita Trotsky prima che Ramon Mercader gli ficchi una piccozza da ghiaccio in testa, e poi si dimette da compagno. Quello che prima accetta i soldini di Rockfeller per un murale, e poi lo sfancula perché il committente non accetta di ritrovarsi un ritratto di Lenin nel salotto buono del capitalismo. Quello che si mette a copiare l'horror vacui e le simmetrie perfette dei maya, e ti riassume cinquecento anni di storia in una parete.
Era brutto, Rivera. Brutto, grasso, contraddittorio. Ma per dirla con il Walt Whitman di "Canto di me stesso", conteneva moltitudini. Avercene, di racchi così.


giovedì 11 aprile 2013

Marchionne, dove sei?

Circolano in rete da un tot di giorni, le foto della nuova 127 immaginata da un fan dell'originale di Pio Manzù, autentico leitmotiv degli Anni 70. La galleria completa è su Autoblog.
Un'ideina ben renderizzata quella di David Obendorfer, che però dà la biada al 99,9% delle vasche da bagno prodotte negli ultimi vent'anni dalla Fabbrica Italiana Automobili Torino. E dimostra che i revival non sono mica tutti come quello di cui al mio post precedente.

mercoledì 10 aprile 2013

Frederic Wertham aveva ragione, dopotutto.

Dopo "Before Watchmen", ecco un'altra chicca della mia major preferita.
Quando si dice la creatività.
Fra qualche tempo salterà fuori quello che tutti, sotto sotto, hanno sempre sospettato: cioè, che "DC" sta proprio per "Democrazia Cristiana". E che Batman e i Superamici sono parte di un audace piano concepito in gran segreto da Darkseid, Joe Bonanno e Licio Gelli per portare i lettori di fumetti verso lo zenit del ragionamento mongoloide,
E no, il fatto che a dirigere la baracca ci sia sempre quel tipo che di cognome fa DiDio non mi sembra una coincidenza, ma una dichiarazione d'intenti.



lunedì 8 aprile 2013

Mi ricordo Leif Garrett

Non ricordo esattamente cosa cantasse, ma ero troppo occupato ad ascoltare di meglio. Ricordo benissimo, in compenso, quei boccolucci biondi, le mossette da sgualdrino glam e le cover si giornali genere Cioè, Io Squinzia eccetera. Roba pesante come la cassoeula.
Oggi, Leif è un wannabe Robert Downey Jr. giallo stoppa che sfoggia bandane e anellazzi fra talk e talent con una dignità acciaccata da eroe di Aronofsky. Alla fine della fiera, non si riesce a non volergli almeno un po' di bene. Dopotutto, ora sulla cover di Io squinzia c'è Justin Bieber.

sabato 6 aprile 2013

Fulminato

Nei suoi ultimi istanti, Carmine ha visto scorrere la propria vita davanti ai suoi occhi come un Flash.
Era Barry Allen.
So long, man.

venerdì 5 aprile 2013

Mexico City Blues

Stasera dalle parti delle sette e mezza, in Calle Francisco Madero, una strada che mi è sempre piaciuta, a maggior ragione adesso che è pedonale. Il ritocco è quello che è, ma al ritorno a casa posso fare di meglio. Per ora, godiamoci il riverbero del sax, o meglio del sex. Que viva Mex.

giovedì 4 aprile 2013

Ritorno alle origini

Cinque mesi nello stato meno interessante del Messico.
Il che, per avere una bambina, è una bella contraddizione.
Ma è solo una delle tante vissute in questi centocinquanta giorni di corse frenetiche, tensioni pazzesche, emozioni fortissime, coincidenze surreali, esistenze incrociate intorno a questa strana bellissima famiglia che abbiamo cominciato a metter su. E ammazza che gran viaggione.
L'inizio di tutto, ovviamente, non finisce qui. Da stasera, los tres Voglinos estan al Distreto Federal. Perché prima di saltare sull'aereo per l'Italia restano da riempire ancora più o meno una quindicina di giorni di scartoffie assortite. Arrivederci a Mexico City, quindi. E adelante - ovviamente, con juicio.

martedì 2 aprile 2013

Guadalajara diabolika!

Un bel murales visto con la coda dell'occhio dal finestrino del bus e preso al volo dalle parti del numero 3000 della calle José Maria Morelos. Dedicato alle sorelle Giussani, a Mario Gomboli e a Diego. Un pelo fuori fuoco, ma ci sta: Diabolik, come è noto, è inafferrabile. O quasi.