giovedì 3 dicembre 2015

Trappola in alto mare




Sembra scritto da un maestro d'ascia, At the heart of the Sea - Le origini di Moby Dick. Ma pur zavorrato dalla stessa pedanteria didascalica di un vecchio sceneggiato Rai, il nuovo film di Ron Howard arriva in porto. Merito del regista, più discontinuo del solito ma comunque abile a ribaltare in faccia allo spettatore le suggestioni action dello script con un racconto che liquida ogni baldanza nella prima mezz'ora per poi virare verso il dramma survivalista e proletario. E merito dei membri del cast, per dirla con Zoolander troppo figosi e ovviamente condannati alla bromance, ma comunque capaci di incarnare il succo di un lungo viaggio per mare - il freddo, la fame, la solitudine, la disperazione, l'abiezione, la follia. Il limite autentico di questa nuova storia di sopravvivenza di Howard semmai sta nel suo essere pura maniera, nella confezione regalo da grande racconto universale però costretta a infrangersi contro la corrente avversa di un cinema che ormai ha saputo trascendere le trappole del genere, e in pochi decenni ci ha regalato i fumetti abissali di Gore Verbinsky, gli oceani inconoscibili di Peter Weir, i mari nerissimi di Spielberg. E che nella sua algida prevedibilità da spettacolone digitale a vocazione global, paradossalmente rinuncia subito a ogni pretesa di resilienza, per consegnarsi all'effimero. Finché stai dentro il film, intendiamoci, tutto bene. Ma appena usciti dalla sala, il senso della storia evapora, come il miraggio della Balena Bianca, o le vanterie di un vecchio pescatore in una bettola di Nantucket. Visti da qui, Apollo 13 e Rush sembrano lontanissimi. Ci sta.

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