mercoledì 16 ottobre 2013

Io sono quello che lavora bene. Tu devi essere l'altro.

Quello che lavora bene

"Sono stato avvi­sato di non essere obbli­gato a dire alcun­ché, a meno che io non voglia farlo, e che ogni cosa che dirò sarà messa per iscritto e tenuta in evi­denza. 

Nel gen­naio 1941 fui asse­gnato allo Stato mag­giore del Tenente colon­nello Kap­pler, in via Tasso, a Roma. Il mio lavoro con­si­steva nel far da col­le­ga­mento tra i ser­vizi di poli­zia tede­schi ed ita­liani. Nel pome­rig­gio del 23 marzo 1944 mi tro­vavo nel mio uffi­cio di via Tasso quando appresi che un certo numero di sol­dati tede­schi era stato ucciso in un atten­tato dina­mi­tardo, in via Rasella, a Roma. Ritengo che il Tenente colon­nello Kap­pler e il capi­tano Schutz, avendo appreso dell’incidente, ave­vano lasciato gli uffici per recarsi sul posto. Io rimasi tem­po­ra­nea­mente al Comando, in via Tasso. 

Quella sera il Tenente colon­nello Kap­pler tornò pre­sto in uffi­cio e chiamò tutti gli uffi­ciali e i sol­dati. Ci parlò dell’incidente dicen­doci che ci sarebbe stata una rap­pre­sa­glia con­tro gli ita­liani nel rap­porto di un tede­sco con­tro dieci ita­liani. Io ritengo che quest’ordine fosse stato dato dal Gene­rale Kes­ser­ling. Ci fu detto di effet­tuare una ricerca in tutti i regi­stri dell’Ufficio al fine di rin­trac­ciare tutte le per­sone con­dan­nate a morte dai tri­bu­nali tede­schi per reati con­tro le truppe tede­sche, al fine di ucci­derle. Tutta la notte cer­cammo tra i regi­stri, ma non riu­scimmo a tro­vare un numero suf­fi­ciente a rag­giun­gere un numero richie­sto per l’esecuzione. 

Non essendo riu­sciti nell’intento, facemmo un’ulteriore ricerca nei regi­stri per vedere se ci fos­sero per­sone non ancora pro­ces­sate, ma che erano state arre­state per essere o coin­volte in offese con­tro truppe tede­sche, o tro­vate in pos­sesso di armi da fuoco ed esplo­sivi, o alla testa di movi­menti clan­de­stini. I loro nomi ven­nero aggiunti all’elenco. Non riu­scimmo, tut­ta­via, a tro­vare per­sone suf­fi­cienti, per cui, credo, che venne chie­sto al Que­store Caruso di for­nire per­sone suf­fi­cienti a costi­tuire il numero di tre­cen­to­venti. 

Il giorno seguente, verso le ore 10,00, Kap­pler chiamò di nuovo tutti noi uffi­ciali, dicen­doci che il Coman­dante del reg­gi­mento di Poli­zia, i cui sol­dati erano stati uccisi, si rifiu­tava di met­tere in pra­tica l’esecuzione capi­tale, e che i sol­dati del Quar­tier gene­rale in via Tasso dove­vano essere gli ese­cu­tori. Ci disse che que­sta era cosa orri­bile da fare e che tutti gli uffi­ciali per mostrar ai sol­dati che ave­vano il soste­gno degli uffi­ciali, avreb­bero dovuto spa­rare un colpo all’inizio e un altro alla fine. 

Verso mez­zo­giorno del 24 marzo 1944, circa ottanta, novanta sol­dati dei Reparti III e IV anda­rono alle Cave Ardea­tine. All’arrivo vidi i pri­gio­nieri nella cava. Tutti ave­vano le mani legate die­tro la schiena, e quando i loro nomi veni­vano chia­mati si incam­mi­na­vano all’interno della cava in gruppi di cin­que. Erano pre­senti dieci o dodici uffi­ciali, tra i quali Kap­pler, i capi­tani Schutz, Cle­mens, Wet­jen e Koe­hler, i Mag­giori Domiz­laff e Hass, i Tenenti Tunath e Kah­rau, e altri del reparto III. Io entrai con il secondo o terzo plo­tone e uccisi un uomo con un mitra ita­liano. Verso la fine uccisi un uomo con lo stesso mitra. 

Le ese­cu­zioni ter­mi­na­rono la sera, quando stava calando l’oscurità. Nel corso della serata arri­va­rono alcuni genieri tede­schi e dopo l’esecuzione le cave furono fatte sal­tare. Non so se fu Kap­pler, Mael­tzer o Kes­ser­ling a ordi­nare di far esplo­dere le cave. In quel periodo a Roma c’era uno stato d’emergenza, seb­bene non fu pub­bli­cata alcuna dichia­ra­zione sull’effetto, poi­ché quasi ogni notte c’erano azioni con­tro le truppe tedesche".

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