lunedì 28 ottobre 2013
sabato 26 ottobre 2013
Giocattoli d'antan
Per soli uomini |
Si chiama Toys from the Past il blog messo on line da tale Gog, un malato di collezionismo da fare invidia al cicciobombo di Toy Story 2. Al centro della scena, come da titolo graziosamente didascalico, macchinine, pupazzetti, giochi da tavolo e altre mirabilie raccattate fino agli Anni 90 negli scantinati di tutto il mondo, messe in posa, fotografate, archiviate e schedate con precisione certosina e un incredibile talento per l'aneddotica. Per dirne una, io del signore qui sopra ricordavo solo una vaga parentela con Big Jim. Gog, invece, ne conosce vita, morte e soprattutto miracoli, compresa la faccenda di quel frustino che a un certo punto è passato nelle amorevoli grinfie di Beast Man dei Masters of The Universe... Ma questa, come si dice, è un'altra storia. Fate il vostro giocattolo.
venerdì 25 ottobre 2013
In un Zuzzurro
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Se ne vanno sempre i migliori
Videoburrito telefonico
Saul El Jaguar dimostra che la vecchia storia del "Metti giù tu, no, dai, metti giù tu" può avere risvolti drammatici di un certo livello.
mercoledì 23 ottobre 2013
Una fine e un inizio
Huffing 'n' Puffing |
Della serie "Se ne vanno sempre i migliori" (e dai!): Conversazioni sul fumetto chiude i battenti. Sarebbe una gran brutta notizia, viste la competenza e la passione infusa nel sito dal collettivo capitanato da Andrea Queirolo.
A mitigare il lutto, la notizia che tutta la vecchia squadra è passata armi e bagagli a Fumettologica.it, un magazine digitale più ricco, più patinato, più colorato, e altrettanto interessante. Cui, di mio, auguro tutta la fortuna possibile: a un sito che apre le danze fra uno special sul Ditko "pauroso", un reportage fotografico da casa Bacilieri e i Fumetti al telefono del Diego nazionale senza filtro non si può che volere un sacco di bene a prescindere.
martedì 22 ottobre 2013
Non gioca più
Canti da riporto |
E adesso si scriveranno un mare di Parole parole parole per questo signore vagamente David Niven che ha messo classe, palle e anima in dozzine di canzuncelle nazio-pop quando ancora il nazio-pop aveva una sua porca dignità, diciamo prima del crollo della cortina di Ferrio. Poi la Mina è scoppiata, e tutto e cambiato. Grazie lo stesso, Gianni.
(A questo giro, mi pare che se ne stiano andando un po' troppi migliori, ultimamente.)
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Se ne vanno sempre i migliori
lunedì 21 ottobre 2013
Mal francese
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Se ne vanno sempre i migliori
giovedì 17 ottobre 2013
Nuovi mostri a Napoli!
Paura, eh? |
Fotografo. Statunitense di pura schiatta Melting Pot, un po' italiano di Broccolino un po' Mitteleuropa. Tecnica analogica, preistorica, con gran lavoro di repro, nitrati d'argento, collage, graffi, interventi pittorici. Risultato: piccoli capolavori a metà fra presente e passato, pezzi unici dal fascino spiazzante, fotografia come racconto gotico postmodern fra eros e tèratos (non thanatos). Dove: Annàpule, precisamente PAN. Chi può vada sereno, che ne vale la pena.
mercoledì 16 ottobre 2013
Caro Luigi
Severo, ma giusto |
Nell'ambiente del fumetto stava sul cazzo a parecchia gente, Luigi Bernardi.
Forse per quella sua tendenza a fiondarsi prima e meglio su fumetti che piacevano anche agli editori con cui collaborava, e portarseli a casa lui, quando poteva.
Così con Crying Freeman, soffiato a un editore specializzato capitolino dalle spalle molto larghe. Così con Give Me Liberty, invero bruttarello a rileggerlo con il senno di poi, ma sfilato a una primaria casa editrice milanese con un occhio ai super-eroi colti quando bastava strillare in copertina Frank Miller o Dave Gibbons per portarsi a casa sette-ottomila copie di venduto.
Un corsaro dell'editoria. Che ha il merito di aver fondato una delle case editrici più interessanti mai apparse sulla scena, la Granata Press, e di aver pubblicato quella che a detta di molti è stata la miglior rivista antologica mai uscita in Italia: Nova Express. una testata dove è passato tanto buon fumetto americano ed europeo.
Ora Bernardi se n'è andato a ruminare fumetti su una nuvoletta, e qui ci si sente tutti un po' più miseri, almeno fra quelli che apprezzavano il suo talento e la sua creatività. Quindi, caro Luigi, ti sia lieve la terra emiliana. Io stasera mi riguardo bene quella bella cover di Baldazzini ispirata a Tokyo Decadence che ho lì appesa al muro: sospetto che la tua idea di paradiso sia un po' quella. Enjoy.
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Fumetti,
Se ne vanno sempre i migliori
Io sono quello che lavora bene. Tu devi essere l'altro.
Quello che lavora bene |
"Sono stato avvisato di non essere obbligato a dire alcunché, a meno che io non voglia farlo, e che ogni cosa che dirò sarà messa per iscritto e tenuta in evidenza.
Nel gennaio 1941 fui assegnato allo Stato maggiore del Tenente colonnello Kappler, in via Tasso, a Roma. Il mio lavoro consisteva nel far da collegamento tra i servizi di polizia tedeschi ed italiani. Nel pomeriggio del 23 marzo 1944 mi trovavo nel mio ufficio di via Tasso quando appresi che un certo numero di soldati tedeschi era stato ucciso in un attentato dinamitardo, in via Rasella, a Roma. Ritengo che il Tenente colonnello Kappler e il capitano Schutz, avendo appreso dell’incidente, avevano lasciato gli uffici per recarsi sul posto. Io rimasi temporaneamente al Comando, in via Tasso.
Quella sera il Tenente colonnello Kappler tornò presto in ufficio e chiamò tutti gli ufficiali e i soldati. Ci parlò dell’incidente dicendoci che ci sarebbe stata una rappresaglia contro gli italiani nel rapporto di un tedesco contro dieci italiani. Io ritengo che quest’ordine fosse stato dato dal Generale Kesserling. Ci fu detto di effettuare una ricerca in tutti i registri dell’Ufficio al fine di rintracciare tutte le persone condannate a morte dai tribunali tedeschi per reati contro le truppe tedesche, al fine di ucciderle. Tutta la notte cercammo tra i registri, ma non riuscimmo a trovare un numero sufficiente a raggiungere un numero richiesto per l’esecuzione.
Non essendo riusciti nell’intento, facemmo un’ulteriore ricerca nei registri per vedere se ci fossero persone non ancora processate, ma che erano state arrestate per essere o coinvolte in offese contro truppe tedesche, o trovate in possesso di armi da fuoco ed esplosivi, o alla testa di movimenti clandestini. I loro nomi vennero aggiunti all’elenco. Non riuscimmo, tuttavia, a trovare persone sufficienti, per cui, credo, che venne chiesto al Questore Caruso di fornire persone sufficienti a costituire il numero di trecentoventi.
Il giorno seguente, verso le ore 10,00, Kappler chiamò di nuovo tutti noi ufficiali, dicendoci che il Comandante del reggimento di Polizia, i cui soldati erano stati uccisi, si rifiutava di mettere in pratica l’esecuzione capitale, e che i soldati del Quartier generale in via Tasso dovevano essere gli esecutori. Ci disse che questa era cosa orribile da fare e che tutti gli ufficiali per mostrar ai soldati che avevano il sostegno degli ufficiali, avrebbero dovuto sparare un colpo all’inizio e un altro alla fine.
Verso mezzogiorno del 24 marzo 1944, circa ottanta, novanta soldati dei Reparti III e IV andarono alle Cave Ardeatine. All’arrivo vidi i prigionieri nella cava. Tutti avevano le mani legate dietro la schiena, e quando i loro nomi venivano chiamati si incamminavano all’interno della cava in gruppi di cinque. Erano presenti dieci o dodici ufficiali, tra i quali Kappler, i capitani Schutz, Clemens, Wetjen e Koehler, i Maggiori Domizlaff e Hass, i Tenenti Tunath e Kahrau, e altri del reparto III. Io entrai con il secondo o terzo plotone e uccisi un uomo con un mitra italiano. Verso la fine uccisi un uomo con lo stesso mitra.
Le esecuzioni terminarono la sera, quando stava calando l’oscurità. Nel corso della serata arrivarono alcuni genieri tedeschi e dopo l’esecuzione le cave furono fatte saltare. Non so se fu Kappler, Maeltzer o Kesserling a ordinare di far esplodere le cave. In quel periodo a Roma c’era uno stato d’emergenza, sebbene non fu pubblicata alcuna dichiarazione sull’effetto, poiché quasi ogni notte c’erano azioni contro le truppe tedesche".
lunedì 14 ottobre 2013
Orfani: la recensione
Orfanotrophy |
venerdì 11 ottobre 2013
Gualdoni a corte
Digennarrazione |
Nel merdaviglioso mondo del fumetto, talvolta capita di infilare qualche topica. E siccome che siamo in Itaglia, in quel frangente succede quello che succede nel mondo dello show business, in politica, nello sport, ovunque ci sia un minimo garantito di visibilità: chi sbaglia viene sbertucciato molto al di là dei propri demeriti. Vizietto tipicamente nostrano, quello di scodinzolare festanti attorno a un pirlantonio finché è in auge, per correre in tutta fretta a pisciare sulla sua tomba a feretro ancora caliente. È la critica ai tempi del social, bellezza. Il che ci porta a Giovanni Gualdoni. Che al di là di quanto fatto in questi ultimi anni come (odiatissimo) curatore di Dylan Dog, resta uno che i fumetti li scrive discretamente. Un indizio, casomai ce ne fosse bisogno: Il moschettiere di ferro, numero 13 di LeStorie, disegnato da Giorgio Pontrelli su testi dell'innominabile. Un luna park piuttosto dark che aggiorna i romanzi cappa e spada di Dumas padre e figlio alle atmosfere cyberpunk già intraviste in precedenti lavori dello sceneggiatore di Busto Arsizio, uno su tutti Wonder City. Niente scienza, per carità, ma solo fantascienza sui generis, con un protagonista automatico dall'anima elegantemente espressionista che impazza per la Francia fra Sei e Settecento e una narrazione leggera, agile e briosa come un colpo di fioretto. Avventura come canone, come balocco, come spettacolo. Senza dimenticare un po' di dumasiana malinconia. Touchè.
venerdì 4 ottobre 2013
Biancaneve? Fa la manager
Favole amare |
Poi uno controlla per scrupolo a quando risale l'ultimo post sui fumetti e vede che sono passati due mesi. A stare di manica larga e contare dall'ultima Nuvoletta sul De Chirico della Coconino, uno. È che uff, diciamocelo, alla fine non è che di cose per cui valga la pena di sprecare quattro righe ne escano proprio tutti i dì. Non mancano, però, le eccezioni. Un esempio: Fables, la storica serie Vertigo di Bill Willingham e soci ereditata dalla RW Lion dopo i fasti di Magic Press e Planeta. Ecco, lì di ciccia ce n'è tanta. Lo spunto iniziale rievoca un'altra genialata di Willingham, Ironwood: lì si trattava di una serie fantasy-umoristica, un po' stile Compagnia della Forca, per intenderci, irrobustita da un bel po' di sesso esplicito - una rarità, per il fumetto a stelle e strisce. Qui, si parte da un assunto simile aggiornato al mondo delle fiabe classiche. Così, Biancaneve diventa una specie di Sandra Bullock in Ricatto d'amore, il Lupo Cattivo un detective spiegazzato à la Dashiell Hammett, il Principe Azzurro un clone del Conte Max e via discorrendo. Roba già vista in serie Tv come C'era una volta, scritta non a caso da due ex pupilli di Willingham. Che però, senza i limiti di budget imposti dal mezzo cinematografico e con il valore aggiunto della straordinaria misura narrativa dell'autore virginiano e dei suoi disegnatori Len Medina e Steve Leialoha, sui fumetti funziona molto meglio. Di suo, Lion ci ha aggiunto l'astuzia della pubblicazione low-cost in formato Bonelli Mee-Too da quattro episodi a botta per novantasei pagine: a due euro e novanta a numero, e nonostante il sacrificio di qualche cm in altezza e in larghezza, il rapporto prezzo-qualità resta impareggiabile. Niente di nuovo per chi ha letto Fiabe in esilio e le altre Fables al momento del debutto, nel 2002. Per tutti gli altri, consigliatissimo.
mercoledì 2 ottobre 2013
Anche gli angeli
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Se ne vanno sempre i migliori
martedì 1 ottobre 2013
Houston, abbiamo un blockbuster
Gravity è il primo film di fantascienza vera da un bel po' di tempo a questa parte. E per coincidenza, anche il primo blockbuster originale da un bel po' di tempo a questa parte - non prequel né sequel né riavvio né superhero movie o tentativo di franchise. Gravity è un film dove gli effetti speciali sono al servizio del racconto, e non viceversa. Tanto è vero che le astronavi non sembrano disegnate da Philippe Starck, ma dalla Bialetti. Gravity ha dei momenti che tolgono il fiato. Nel senso più autentico della metafora. Gravity ha un cast stellare che qui diventa minimale perché nello spazio, sotto lo scafandro, nessuno può sentirti urlare "Guarda mamma, sono figo". Gravity ti fa venire voglia di fare l'astronauta, e poi te la fa passare. Gravity trasforma il ripassino di fisica in una ripassata, dimostrando per di più che Legge di Murphy batte teorema di Archimede dieci a zero. Gravity ha il sapore vagamente metallico-omogeneizzato delle merendine da astronauti, però minghia quante proteine. Gravity offre il miglior spogliarello spaziale da quello della Sigourney in Alien, che sembra ieri ma son passati trent'anni. Gravity è più retorico di Forrest Gump e Apollo 13 messi insieme, però anche la retorica nel vuoto pesa meno. Gravity ha un finale alla Nolan che quando esci dal cinema stai lì per mezz'ora con i pensieri in bilico fra happy end e (altro). Gravity è un film tutto forma che però a livello registico offre anche quintalate di virtuosistica spericolata sostanza. Gravity va visto. Se capita, in Imax, dove dà il meglio di sé.
L'uomo da ridere
Marcello Bello |
"Chi va con lo zoppo, impara il twist": una cazzata secca, cinica, fulminante, come nella tradizione dei grandi battutisti. E Marcello Marchesi un grande battutista lo era davvero: suoi i calembour più spericolati di Totò, come pure le sferzate più urticanti dei film di germi o i dadaismi appiccicosi di Carosello. Suoi anche i volumi pubblicati fra gli Anni 60 e 70 da Rizzoli, e ora meritoriamente riportati in libreria in una nuova veste editoriale da Bompiani: monologhi al delirio come "il malloppo" o raffiche di chicche ridanciane come "il dottor Divago". Classici intramontabili della risata matura e consapevole, pieni di scoperte meno sciocchine del previsto. Una a caso fra le tante? "Quando la parola volgare non avrà più senso, saremo tutti uguali". Se non è preveggenza, questa.
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