martedì 29 settembre 2015

Il senso di Ridley per la Space Opera


Gusti davvero terribili in fatto di musica, The Martian, con una soundtrack talmente didascalica da non risparmiarci niente, neanche la telefonatissima Starman di Bowie. Ma c'era da farsi perdonare l'abominio di Prometheus. E in questo senso, Sir Ridley Scott ne esce piuttosto bene. Perché la nuova odissea nello spazio tratta dal romanzo omonimo di Andy Weir non ha la vocazione visionaria di Gravity né le ambizioni alte di Interstellar. Ma conferma lo straordinario mestiere del settantottenne (!) regista inglese, la sua cqpacità di lavorare con gli avanzi di tanto cinema ad alto budget per tirarci fuori ricette magari poco innovative, ma sempre efficacissime sul piano dell'efficacia narrativa e dello spettacolo puro.
Così, una pellicola di science fiction con una spolverata di science e l'accento sulla fiction si candida fortissimamente a diventare l'Apollo 13 di questa generazione, una storia già trita e ritrita messa giù alla bruttogiuda da Drew Goddard che però funziona alla grande nonostante tutti i luoghi comuni di cui è infarcita, o forse proprio in virtù di questi ultimi, compresa la martellata alla quarta parete dell'operazione Elrond. Una missione di salvataggio nello spazio, dove tutti possono sentirti urlare al guilty pleasure, con tutti i pregi e i difetti del caso. Manca la sequenza killer, mancano i guizzi visionari ed elegiaci che il Ridley Scott dei primi anni 80 sapeva ammannire al gentile pubblico. Ma in fatto di storytelling puro e semplice, tensione e puro appagamento, più di così proprio non si poteva fare. Prendessero nota, gli scarsissimi (in termini qualitativi, non quantitativi) epigoni del vecchio leone inglese.

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