Cosa ci vuole per dare un anima al nuovo cinema digitale? Un regista vero. Un regista come Steven Spielberg, per dire. Che magari manca della cattiveria di un Verhoeven o della visionarietà junghiana di un Del Toro. Ma che in fatto di sense of wonder, talento per la messa in scena e sfruttamento del lavoro minorile ha ancora abbastanza argomenti per dare le piste a tanti mestieranti del blockbuster. E che ormai, non dimentichiamolo, fa cinema solo per puro divertimento.
E questo è Ready Player One, trasposizione nuova e migliorata del romanzetto young adults di Ernest Cline sulle avventure di un avatarro in un mondo virtuale che sembra una versione sotto steroidi dell'universo di Ralph Spaccatutto.
Un blockbuster ricco e denso come una pastiera, e come la pastiera progettato per offrire un doppio godimento: quello di una quest che ingrana la quarta al minuto cinque con Jump dei Van Halen accelerando a tavoletta fino ai titoli di coda. E quello del puro metacinema che costringe lo spettatore a districarsi fra decine e decine di citazioni dal meglio dell'entertainment dagli Anni '30 a oggi, da Batman a Halo. Cartoni giapponesi, super-eroi, franchise videoludiche, fumetti, pupazzetti, vecchie console, nuove identità virtuali, icone post-moderne. E su tutto, un messaggio tanto semplice da risultare disarmante ma molto attuale - con tutti i suoi difetti, la realtà è sempre un gran bel trip.
Le previsioni per il box-office statunitense non paiono eccezionali, e questo è un peccato: perché al netto di qualche lungaggine nel terzo atto, era dai tempi di Pacific Rim e Mad Max Fury Road che un film non sfruttava la gioiosa macchina da guerra hollywoodiana così a fondo, così consapevolmente e così sapientemente. Ma al di là di quello che succederà al debutto, per una volta il consiglio è di trovare la sala IMAX più vicina e inforcare gli occhiali 3D: il buon vecchio zio Steven ci ha regalato un family movie che incollerà alle poltrone tutti noi avanzi di The Big Bang Theory e pure i nostri figli. Tutto il resto è noia.