Quando l'ho conosciuto, una ventina d'anni fa o giù di lì, Federico Brugia non era Federico Brugia. Allora lo chiamavo semplicemente "Silvano".
Abitava in una casa favolosa di via Sebeto con mammà, favolosa stilista. rotto il ghiaccio a una festa molto Anni 80 sotto un bombardamento di Clash, Propaganda e Chaka Khan, ci piaciucchiammo subito. Da lì partì un treno di incredibili avventure in alta fedeltà: un sacco di notti passate a strimpellare tastiere e Technics milleddue fra canne e whisky, un sacco di giornate a riguardare e commentare i film di Kubrick Raimi o i Coen, un sacco di sogni a buon mercato di quelli che fai all'Università, quando il futuro è un'autostrada a quattro corsie. E un pezzullo da discoteca, registrato in uno studio di Grosseto chissà quando e rimasto in un cassetto perché anche nel meraviglioso mondo del pop una cosa non è fatta finché non è fatta. Poi, secondo natura, ognuno per la sua strada.
Che nel caso di Silvano - pardon: Federico - è rimasta quella del cinema, della moda, della fotografia. Mondi in cui continua a razzolare con stile, energia e personalità.
Da qualche parte, a casa mia, devo avere ancora delle foto mie fatte da lui in una notte d'inverno all'insegna della voglia di esserci e della fendimetrazina. Ero venuto parecchio bene, quindi mi sa che prima o poi dovrò farle incorniciare: sempre che non sia stato così fesso da buttarle in uno dei miei periodici repulisti esistenziali. Sperèm de no.
martedì 29 novembre 2011
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1 commento:
Clash, Propaganda e (vabbè) Chaka Khan, siamo quasi fratelli di latte! E quando fai repulisti esistenziali avvisa, che la mia libreria ha sempre spazio ;-)
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