venerdì 28 febbraio 2014

Treno merce

Il bucaneve (meglio i biscotti)
A volte, ci si lamenta del fatto che i cinemi tratti dai fumetti pecchino di scarso rispetto nei confronti dei volumi originali. Non ho ancora visto Snowpiercer, ma sono convinto che a questo giro non andrà così: lo dico perché il fumetto di Lob, Legrand e Rochette sarebbe stato un ottimo spunto per un racconto breve. E invece, nella versione extended play di 250 pagine portata in edicola da Editoriale Cosmo raccogliendo gli albi de Le Transperceneige evapora ben presto fra gli sbadigli. Non poteva essere altrimenti, con un fumetto di puro mestiere realizzato ben trent'anni or sono. Chi si aspetta squisitezze da Umanoidi Associati può aspettare il prossimo treno: qui non siamo nell'ambito del fumetto francese colto, ma di quello squisitamente popolare, serializzato su A Suivre e poi raccolto in tre albi, in soluzione unica nella versione italiana. Appena ci si abitua alla scomodità delle carrozze, alla costruzione elementare delle tavole e dei dialoghi, alla rarefazione della trama, l'immagine della immane locomotiva che fende le lande ghiacciate del futuro prossimo con il suo carico di passeggeri di prima, seconda e infima classe perde tutto il suo fascino. E punta dritta dritta verso il binario morto del confronto con la grande Bande Dessinnèe - quella di Moebius, Druillet o Bilal, per dire. O al limite, con il solido mestiere di autori misconosciuti come Alain Voss, modello malcelato e irraggiungibile del primo Rochette. Vale la pena solo per chi di norma non bazzica la fantascienza a fumetti, o per chi vuole misurare le distanze fra il fumetto e il film. Incoraggianti la cura editoriale e il rapporto qualità/prezzo, inferiore ai 6 euro: ma per rispetto nei confronti dei Cosmonauti bisogna ammettere che hanno in catalogo chicche ben più meritevoli di questo instant comic. Che al netto del film, probabilmente sarebbe rimasto in qualche cassetto a prender polvere. E bon voyage

martedì 25 febbraio 2014

Egonia


Questo sì che è stakanovismo, dottor Spengler.
Grazie delle invenzioni, delle risate e di quei famtastici anni Ottanta.

sabato 22 febbraio 2014

Non soccorso


Grande voce e grande personalità, Francesco di Giacomo del Banco. Ci mancherà. Però due skianti in una settimana sono davvero troppi. Basta, grazie.



giovedì 20 febbraio 2014

mercoledì 19 febbraio 2014

Toy Story Quattro: The Lego Movie

Alllora, the Lego Movie parla di quello speciale.

Caramello Mou
No, non questo qui, che altrimenti nemmeno con una pistola alla tempia. Nell'universo leghista nel senso dei mattoncino, quello speciale è il simpatico faccia da pirla qui sotto:

Ehilà, mi chiamo Emmet
Ora, chiunque riesca nell'impresa di riuscire a incollarmi a una poltrona per due ore ad ammirare le gesta di Emmet per me è un gigante del cinema mondiale, roba che neanche Kubrick, Truffaut ed Elio Petri messi insieme. Aggiungiamoci Will Ferrell nella parte di un Mugatu di Lego, diversi membri della Justice Legue (no, non è un refuso, ah, ah, ah), Han Solo, Lando Calrissian, Chewbacca, D3BO e il fottuto Millennium Falcon, un pulotto sadomaso bipolare duro, Il pupazziello di Bruce Wayne argutamente doppiato da C. Santamaria, il pupazziello di Gandalf, i Lego Lunar, i poliponi meccanici di Matrix, un paio di sequenze visivamente memorabili (mare mosso col Lego? Esplosioni col lego? Ci sto!) e le musiche di Mark Mothersbaugh dei Devo, più una sceneggiatura che pencola più verso il Mel Brooks di Balle Spaziali e La pazza storia del mondo che verso, che so, Cars, ci siamo capiti. incredibilmente, trattasi di un buon film per famiglie di quelli che se hai dieci anni ridi e se ne hai trenta sghignazzi. Con un po' di veleno in coda, poteva scapparci un piccolo gioiello: ma dopo cento minuti di divertimento, un quarto d'ora di volemosebbene passa senza troppi strascichi. Un bel sette più. Il che, da uno che non è mai stato un Lego Nazi, mi pare decisamente un bel voto.

domenica 16 febbraio 2014

Mi ricordo "Vicky il vichingo"

Dio, che odio
Anime giapponese circa 1975 che oggi cadrebbe fatalmente nel genere "edutainment".
La fondamentale guida ai cartoni giappo edita da Granata Press ricorda: 78 episodi. E più sotto, che Vicky, essendo figlio di un capo Vichingo, viaggia molto, e grazie alla sua intelligenza superiore riesce a salvare i compagni di viaggio dalle relative peripezie.
Il Vicky della mia infanzia arriva dalle parti di metà pomeriggio, subito dopo gli odiati còmpiti, si sfrega il naso col ditino bimbominkia e poi, come Wolf in Pulp Fiction, risolve problemi. A questo ricordo se ne sovrappone subito un altro, più netto, persistente e gradevole: quello di un popolo che dell'edutainment se ne fotteva, e si aggirava per l'Europa dispensando roncolate sulla capoccia in cambio di donne nude, vino e moneta. Questo, sì, potrei sopportarlo.

giovedì 13 febbraio 2014

Skiantato

Un figo.

Grazie di tutto, zio freak Antoni. Ma proprio di tutto tutto tutto.

mercoledì 12 febbraio 2014

giovedì 6 febbraio 2014

Metà uomo, metà macchina, tutto chiacchiere e distintivo


Non tutto è perduto: posso farmi ancora le pippe.

Che cosa resta di Robocop, se gli togli lo humour nero,  il gore e la perfetta solitudine da tragica macchina celibe che costituivano il cuore nerrativo dell'originale di Paul Verhoeven?
Risposta esatta: uno scintillante carapace e poco altro.
Come ampiamente prevedibile dai trailer diffusi in Rete negli ultimi mesi, il film di José Padilha fa dell'uomo di latta perturbante dei bei tempi che furono una action figure per sbarbati di non troppe pretese. Chi aspira a ulteriori chiavi di lettura, passi: il regista carioca e i suoi (pessimi) ufficiali pagatori hanno bruciato ogni aspirazione adulta in pochi accenni, liquidando i requisiti minimi dei maggiorenni con strizzate d'occhio cheap a Bacon (il pittore, non il filosofo) e Dick Cheney, qui incarnato in un didascalico e irritante Samuel Jackson. Il resto è clangore di ferraglia molto in linea con i cinefumetti più recenti. E tanti saluti al fascino B-Movie dell'originale, alle sue distopie, ai suoi sghignazzi grotesque.
Un film vecchissimo nella struttura, nella realizzazione, nel riciclo degli spunti visivi (il remake di Total Recall, Terminator: Salvation, gli ovvi Batman Begins Iron Man...) e nell'uso del tema di Basil Poledouris, già (volutamente) ridondante a suo tempo. Con un corto circuito che piacerebbe a McLuhan - una satira sui guasti del marketing delle multinazionali, castrata dalla sudditanza al marketing della Sony. Non il peggiore dei remake gratuiti, ma un film totalmente inutile, che all'uscita dalla sala evapora sgradevolmente come un peto rumoroso.
Previsioni del tempo: incassi discreti nel primo week-end, e poi una frettolosa rottamazione, in attesa dell'eventuale secondo capitolo, telefonato nel finale. Per una disgraziata coincidenza, in giro c'è anche il Blu-ray del vero Robocop, quello che rifletteva con un bel tot di anticipo il nostro presente così levigato, cinico e disilluso: un modello inarrivabile, che non passa mai di moda, e che paradossalmente, in tempi di GTA, Assassin's Creed e Call of Duty potrebbe anche piacere più di questo remake al Lysoform.

lunedì 3 febbraio 2014

Philip Sey mourt Hoffman



È che i cattivi dei film fanno sempre una brutta dine. Grazie, Phil, ci mancherai.

sabato 1 febbraio 2014

Bilotta e di governo

che stress nella strasse

Uno sceneggiatore con due cosi così, un disegnatore con due cosi così, un altro numero di "LeStorie" di quelli che fanno la differenza: di Friedichstrasse, sedicesima uscita della collana creator-friendly di Bonelli Editore non si può dire altro. Dopo "Il lato Oscuro della Luna", sempre disegnato da Matteo Mosca, e dopo "Nobody", l'ex writer di di "Valter Buio" conferma la sua ossessione per le tematiche edipiche e kubrickiane del conflitto fra generazioni e dell'eroe come macchina celibe par excellence. Un gran lavoro d'atmosfera, con echi di David Lloyd, Wenders e il più ovvio Florian Henckel Von Dommersmark di Le vite degli altri, e un incedere vischioso che incolla alla lettura dalla prima all'ultima pagina. Il finale un tantino tranchant e la scelta di scenari e atmosfere già battuto da Paolo Morales sul numero 6 della collana smorzano un tantino l'emozione della scoperta, insieme con la contrapposizione manichea fra i cattivissimi della DDR e il resto del mondo, che alla fin fine tante pippe ma non è che in fondo in fondo la caduta del muro abbia prodotto tutte 'ste magnifiche sorti e progressive, soprattutto a Berlino Est. Ma anche nei suoi limiti, questo noir uggioso, freddino e dolente Bilotta e di governo straripa di asciuttezza e sincerità: tanta roba, per tre euro e cinquanta.