venerdì 29 novembre 2013

Formaggio di fossa



Ci siamo giocati anche il detective Toma: thank you and Good-bye, Tony Musante.

Una Mirka tanta

Whoa, baby

Fumetti porni: bisogna saperli fare. Raviola sapeva come e punto, Scòzzari sa come, ma non ci ha più voglia, Palumbo sa come ma guadambia di più con Eva Kant che con Tosca la mosca. Poi ci sono un sacco di grandissimi artisti che la mano ce l'avevano o ce l'hanno, ma non ci hanno mai avuto, come dire: lo shining del luridume. Che so. Crepax. O Manara. O Eleutieri serpieri. femmine efebiche o giunoniche disegnate meravigliosamente, close-up da esame di ostetricia e ginecologia, cura maniacale del montaggio, ma luridume estetizzante, cerebrale o adolescenziale, quindi a livello cinque contro uno poco fruibile.
E le fumettare? Lì c'è da fare gli opportuni distinguo. Melinda Gebbie di Lost Girls? Mah. Troppa testa, troppi leziosismi, troppe api, troppi fiori. Kate Worley, la sceneggiatrice di Omaha the Cat Dancer? Oscar postumo per gli equilibrismi soap fra sesso e sentimenti. E in Italia, terra di olgettine? solo qualche Cacciatore e un po' di Casotto? What about le nuove leve?
S'avanza dal fondo Mirka Andolfo, una lunga fedina penale come colorista presso The Walt Disney Company Italia (!), recentemente assurta agli onori e agli oneri della cronaca con il Web Comic Sacro/Profano, appena stampato su pasta di celluloide essiccata e pressata da Dentiblù e in libreria da dicembre 2013. Un fumetto molto fresco, molto diretto, discretamente scollacciato, scritto e disegnato con solido mestiere. Un fumetto molto francese nell'accezione più nobile del termine, perché affronta la complicata liaison fra un diavolo perennemente in tiro e una casta angioletta con il sorriso sulle labbra, e senza risparmiare qualche salutare zampata al basso ventre. Clima analogo a quello di De Pins, Skydoll di Canepa e Barbucci o gli sketchbook di Chris Sanders, ma atmosfera più ruspante, contundente e slapstick, come in una sorta di Roger Rabbit aggiornato all'epoca del Sexting. Non un esordio da fini dicitori, certo, ma una bella promessa sì: resta da vedere se una volta adulti i personaggi della Andolfo manterranno premesse e luridume. Ma la ciccia turgida c'è. basta aspettare.

martedì 26 novembre 2013

Unarecensione

Unacopertina

L'ufficio stampa di Coconino Press/Fandango ha una missione: quella di aprirmi gli occhi su autori che di pancia tendo a sottovalutare. Era capitato qualche tempo fa con Carpinteri. E oggi capita con Gian Alfonso Pacinotti in arte Gipi, caposcuola del graphic novelism minimalista. Un gran talento da acquerellista, il Gipi, e un ancor più rimarchevole talento per le pierre, che l'ha catapultato nel giro di pochi anni da Internazionale a La Repubblica a Cinecittà.
In quei paraggi, tempo addietro, il nostro aveva dichiarato di aver smarrito un po' la vena fumettara. E di mio, avendo leggiucchiato senza troppo trasporto Appunti per una storia di guerra e avendo digerito a fatica ogni singola vignetta di LMVDM - La mia vita disegnata male per le vere o presunte affinità elettive con certe cose disegnate invece benissimo del vecchio Paz, mi sono chiesto: Gliela farò a rinnegare la mia idea preconcetta di Gipi come finto idiot savant della parrocchietta radical-chic?
E sì, a questo giro gliel'ho fatta.
Certo, anche Unastoria echeggia icone e concetti già abbondantemente saccheggiate dall'autore toscano - ombre junghiane, psicologi, psicofarmaci, belligeranze, incomunicabilità, la natura come vuoto e come minaccia, la melanconia come stato di grazia. Ma questo con una lucidità, una sintesi e una sincronia fra testo e disegno da rasentare il sublime. La lenta discesa agli inferi di uno scrittore tormentato dal diario epistolare di uno zio scampato (ma non del tutto) alla Grande guerra procede per flashback paralleli, in una narrazione frammentaria e formalmente spettacolare che rispecchia lo sgretolamento dell'io narrante in una alternanza di splash-page impastate di terre grigie e marroni e bianchi e neri volutamente asettici degni del miglior Jules Feiffer.
Come in passato, il plot in sé è poca roba. Trovarobato minimal-chic, si diceva. Ma le rughe del paesaggio e quelle umane si incrociano e si dipanano con un cuore. un controllo, una autentica volontà di potenza da spazzar via ogni sospetto di autocompiacimento o semplice paraculaggine. Così, si finisce per perdersi nella fredda bruma esistenziale di Gipi, concludendo la lettura con un percepibile senso di vertigine. E convinti che, in fondo, a pensarci bene, L'uselin de la comare non è poi tutto 'sto cabaret.

venerdì 22 novembre 2013

Scoppola


La vita è uno sbuffo di lacca.
Un grazie spettinato all'hair stylist delle dive, da oggi nell'Aldo dei Cieli.

mercoledì 20 novembre 2013

Il mitico Thorson

Se il costume è imbarazzante, figurarsi il resto
Super-eroi moderni. Gente che vive al di sopra dei limiti umani, affrontando sfide da far tremare i polsi. Come Scott Thorson, gigolò per caso, per 5 anni inseparabile sidekick del leggendario Liberace, pianista italoamericano che stava a Pollini come Freddy Bulsara in arte Mercury a Luciano Pavarotti. Fra il 1950 e il 1980, Liberace fu il despota incontrastato di un piccolo impero dannunziano pop tutto stucchi, paillettes ed eccessi, attraversando la vita come una cometa dorata. Dietro i candelabri di Steven Soderbergh racconta l'ultima parte della sua parabola attraverso gli occhi del succitato Thorson, che pur di diventare uguale uguale uguale al proprio idolo/pigmalione/mentore/bancomat arrivò a farsi una plastica facciale. Production values da vetrina, perfettamente in linea con le migliori produzioni Hbo, con Michael Douglas e Matt Damon perfettamente a loro agio anche fra le bollicine le bollicione e i bollori della grande Jacuzzi culattacchiona. Qualche dubbio, invece, sulla scrittura e sul registro del film: Soderbergh asseconda i toni vagamente agiografici della sceneggiatura di Richard LaGravenese, partorendo uno strano oggetto cinematografico, un Vizietto dalle venature faustiane ma senza la precisione analitica la lucidità e la cattiveria di uno Scorsese un David O. Russel o un Paul Thomas Anderson. Divertito e divertente, in soldoni, ma superficiale. Irresistibile però il chirurgo estetico di Rob Lowe: il miglior oggetto d'arredamento di tutto il film, la fiammella più intensa e genuinamente hot di tutti i candelabri di Leeberacci.

martedì 19 novembre 2013

Qualcosa di sinistro

Ho cominciato a vedere The Americans più che altro per pigrizia, tanto per ingannare il tempo in attesa di The Walking Dead. Il trailer, lo ammetto, denotava una certa acchiappanza: l'inno sovietico, e quella bella villetta stile suburbs con su la falce e martello erano un bel vedere. Ma, mi chiedevo: l'effetto nostalgia sarebbe bastato?
Sì, è bastato.
Perché in questo serial è proprio l'effetto nostalgia a fare la differenza. L'avessero ambientato nella stessa time zone di Last Resort o Homeland, con tutti i satelliti gli sbarlusc i cellulari i Gps e gli altri ammennicoli del caso, sarebbe venuta una roba così, anche perché il Kgb post-Putin ha più problemi in Cecenia, Ossezia e Tagikistan che in Massachussets, e ammettiamolo, per noi quei posti lì restano culturalmente un tantino fuori mano.
Ma poi. Vuoi mettere una spia che viene dal freddo e passa da Mediaworld a comprarsi il nullificatore galattico con un poveraccio che solo per sintonizzare la radiolina con l'auricolare sulle frequenze della Madre Russia deve cuccarsi mezz'ora di rumore bianco?
E quindi un sacco di modernariato Anni ottanta, una atmosfera che tira un po' dalle parti di storie tese come Gorki Park, qualche complicazione sentimentale su modello Lina Wertmuller, una regia televisiva ma furbesca e solida.
Senza contare il cattivo, cioè l'amico doppiogiochista di Truman Show nonché il colonnello infame di Super8 nonché il dottor Jenner di The Walking Dead, cioè questo qui:

Salve, sono Noah Emmerich e in genere faccio lo stronzo
Non so voi, ma per me basta e avanza.

sabato 16 novembre 2013

venerdì 15 novembre 2013

Ho fatto un quarantotto

La mia faccia da guerra

Una volta di più, un anno in più. Un anno importante, vuoi perché ormai la scadenza del mezzo secolo incombe insieme con i rischi di sbandamenti a dritta e a mancina che ho visto in tanti cari coetanei, vuoi perché la paternità fa crescere i baffi anche sul cuore.
Oltre lo specchio, al netto di qualche pelo candido, la faccia è quella di sempre. Ma dentro lo specchietto, gli anni scorrono via veloci, in un vago senso di vertigine. E visto che nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma, il passato dissolve incrociandosi con un presente fatto di urgenze, bisogni, progetti, spunti che visto il periodo a volte esaltano a volte spaventano, mai però fino al panico puro e semplice. A ben guardare, anzi, ci si rende conto di aver messo su la stessa faccia a volte sorridente a volte macho a volte un tantinello depressina degli eroi che ho imparato ad amare sui libri, al cinema, in tv, fra i fumetti, dentro tutte le esperienze che tengono ancora insieme il giovane Voglino e quello definitivamente reposado. Come il Giovanni Battista Fidanza di Conrad, come Bruce Wayne, come Berlinguer, come il Paul Foster di Ufo o il Fréderic de L'educazione sentimentale, come il Dave Bowman di 2001: Odissea nello spazio o l'Enzo Baldoni di Locombia. Come me: Andrea Voglino, quarantotto anni, uomo di parole. Con un sacco di altri caratteri vecchi e nuovi pronti da mettere in mostra. Allez.

mercoledì 13 novembre 2013

Mi ricordo "Lo scarafo nella brodazza"

Il sosia di Robert Redford

Correva l'anno millenovecentosettantasette e in radio impazzava Alto Gradimento, la trasmissione più folle ed estrema mai partorita da Mamma Rai. I Deejay molto sui generis come Renzo Arbore e Gianni Boncompagni alternavano musica ggiovane e accessi di puro delirio partoriti improvvisando con altri squinternati: c'era Giorgio Bracardi, inventore del gerarca fascista Catenacci con le sue manganelatte e del tormentone Perché non sei venutto? E c'era Mario Marenco, architetto, "sosia di Robert Redford" e un esercito di personaggi folli e geniali nella panza - dal professor Aristogitone, professore con 40 anni di insegnamento alle spalle, alla giunonica virago Sgarambona, fino all'austronauta Raimundo Navarro, abbandonato nello spazio dalla Nasa e perciò incline all'insulto ("Cabrones... cornudos..."). A un certo punto, come succede oggi con praticamente tutti quelli che godono di un minimo di airplay, trac: la Rizzoli ti tira fuori la raccolta con i migliori monologhi del suddetto Marenco. A me la regalarono gli zii, se ben ricordo. Si chiamava Lo scarafo nella brodazza, e allora mi fece lollare assai. Ma si sa come vanno queste cose: poi cresci, presti, te ne fotti, e i libri si perdono fra le pieghe della storia. Ecco, proprio qui volevo arrivare: se qualcuno di voi ha in casa la mia copia de Lo scarafo nella brodazza, ci terrei tanto a riaverla. Cabrones, cornudos.

venerdì 8 novembre 2013

Playmobilitati

Casalingo disperato


Celebrities as Playmobil Dolls: un titolo un tantino denotativo, per una pagina piuttosto divertente realizzata giocando fra religione, cinema, musica e fumetti. Non molto ricca, ma molto addictive: e comunque, il mio Playmobil preferito è quello del video di I Want to Break Free.

mercoledì 6 novembre 2013

Escher un attimo

"Perché non parli?"
"Sono uno che ama vagare fra gli enigmi. I giovani spesso mi dicono che faccio solo grafica optical. Io non so proprio cosa sia, questa grafica optical. Queste sono cose che faccio da trent'anni". Parole e Musica di M.C. Escher, nato a Leeuwarden, Olanda, alla fine dell'Ottocento e precusore di quella arte seriale che avrebbe fatto la fortuna di Walter Benjamin e Andy Warhol. Disegni che nascondono altri disegni, prospettive impossibili, e un rigore simmetrico appreso per caso fra le decorazioni moresche dell'Alhambra andalusa e le cupe vedute di Piranesi. Un globetrotter instancabile e ossessivo che nel suo strabiliante percorso artistico da criceto sulla ruota ora si è fermato a Reggio Emilia. Per una mostra assolutamente da vedere.

Nuvoletta Rrobe



The Man
Giaceva nel limbo da qualche giorno, l'intervista a Roberto Recchioni appena lanciata su Nuvoletta Rossa. Il tutto, in attesa della pubblicazione su il manifesto cartaceo di oggi. Finalmente, il pezzo è arrivato in edicola e su iPad: logico, quindi, dargli il giusto risalto anche sul web. Dove arriva in versione "Extended Play", affrancato dalla tirannia del conteggio caratteri e forte di un paio di domande in più. Chi vuole farsi una cultura sulla lettiera del gatto di Roberto, si accomodi: en passant, si parla anche di autorialità, egocentrismo, anima nerd e altre cosette.

domenica 3 novembre 2013

Hanno uscito l'uomo Plasmon


Ricordo d'infanzia: questo tipo titanico genere Maciste nella valle dei farmacisti, chiappe coperte a stento da un perizoma tarzanello, fisicata a mimare una posa plastica tafazziana con vago sentore di scalpellate sugli zebedei. E più o meno c'eravamo: perché Fioravante Palestini alias Gabriellino, questo l'alter ego dell'Uomo Plasmon, a un certo punto la martellata sugli zebedei se l'è data sul serio. Mettendosi a trafficare eroina e cocaina in Egitto, beccandosi vent'anni di galera egizia, sopravvivendo alla suddetta e ricominciando daccapo. A 67 anni suonati, uscito gratis di prigione, l'Uomo Plasmon è tornato a mostrare i muscoletti al mondo come star di una memorabile puntata di "La storia siamo noi". E si è messo in testa un'idea meravigliosa: quella di attraversare l'Adriatico sul pattino lasciandosi finalmente alle spalle possenti le sue titaniche, pardon omeriche sfighe. Tu chiamalo, se vuoi, super-eroe: l'Uomo Plasmon, fra l'altro, suona benissimo. Bonnng.