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Se il costume è imbarazzante, figurarsi il resto |
Super-eroi moderni. Gente che vive al di sopra dei limiti umani, affrontando sfide da far tremare i polsi. Come Scott Thorson, gigolò per caso, per 5 anni inseparabile sidekick del leggendario Liberace, pianista italoamericano che stava a Pollini come Freddy Bulsara in arte Mercury a Luciano Pavarotti. Fra il 1950 e il 1980, Liberace fu il despota incontrastato di un piccolo impero dannunziano pop tutto stucchi, paillettes ed eccessi, attraversando la vita come una cometa dorata.
Dietro i candelabri di Steven Soderbergh racconta l'ultima parte della sua parabola attraverso gli occhi del succitato Thorson, che pur di diventare uguale uguale uguale al proprio idolo/pigmalione/mentore/bancomat arrivò a farsi una plastica facciale.
Production values da vetrina, perfettamente in linea con le migliori produzioni Hbo, con Michael Douglas e Matt Damon perfettamente a loro agio anche fra le bollicine le bollicione e i bollori della grande Jacuzzi culattacchiona. Qualche dubbio, invece, sulla scrittura e sul registro del film: Soderbergh asseconda i toni vagamente agiografici della sceneggiatura di Richard LaGravenese, partorendo uno strano oggetto cinematografico, un
Vizietto dalle venature faustiane ma senza la precisione analitica la lucidità e la cattiveria di uno Scorsese un David O. Russel o un Paul Thomas Anderson. Divertito e divertente, in soldoni, ma superficiale. Irresistibile però il chirurgo estetico di Rob Lowe: il miglior oggetto d'arredamento di tutto il film, la fiammella più intensa e genuinamente
hot di tutti i candelabri di
Leeberacci.
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