sabato 24 dicembre 2016

Euforia passeggera

Ancora 5 minuti, Jennifer
Mezz'ora dopo i titoli di testa di Passengers, sei lì che ti dai dei pizzicotti.
Possibile? Un blockbuster fantascientifico con un'idea.
Tutto è cominciato in medias res, su un'astronave in volo verso un pianeta lontano carica di passeggeri sotto ghiaccio. Per un guasto del computer di bordo, uno dei cinquemila baccelli di supporto vitale si è dischiuso e il passeggero ivi contenuto si è svegliato.
Solo.
Nell'immensità dello spazio.
Su un'isola deserta hi-tech lunga un chilometro.
Con la prospettiva di esaurire il suo ciclo vitale durante una trasvolata lunga un secolo.

Ce ne sarebbe abbastanza da uscire di testa, e infatti è proprio questo che succede. Perché pur tentando di darci dentro con l'intrattenimento di bordo, dopo un anno di bagordi il nostro eroe comincia ad averne piene le scuffie.
Ma ehi, ecco la soluzione: selezionare la ragazza più bella dei baccelli, manomettere la sua capsula per svegliarla, e trascorrere il resto della vita con lei nella più assoluta opulenza.

A questo punto potrebbe davvero succedere di tutto. Ipotesi horror: come in Shining, lui potrebbe perdere la trebisonda, trasformando la nave spaziale nell'Overlook Hotel. Ipotesi melò: lei potrebbe stancarsi di lui e decidere di scongelare un terzo incomodo. Ipotesi drammatica: magari lui potrebbe aver risvegliato una malata terminale destinata a spegnersi di lì a poco. Ipotesi bizarre: uno dei due potrebbe rivelarsi un'automa tipo Westworld.

A quel punto, però, il film si ricorda di essere scritto da Jon Spaiths. Sì, quello che ha scritto Prometheus, il prequel deficiente di Alien. E, orrore, si adegua. Diventando la Space Opera più scema dall'uscita di Viaggio nella Luna di George Meliés. (Che però, per lo meno, durava un quarto d'ora scarso).

Qui, invece, tutto precipita rovinosamente dal trentesimo minuto in poi e fino alle due interminabili ore che seguono, buttando nel cesso le pur credibili performance di Chris Pratt e di Jennifer Lawrence,  il design strepitoso di Guy Hendrix Dyas, i milioni della Sony/Columbia e tutto il resto. Meglio, molto meglio tornare a dormire, e non svegliarsi più per i prossimi cento anni. E sognare, forse, il film che sarebbe potuto essere e mai non sarà.


giovedì 15 dicembre 2016

Lo Star Wars che stavate cercando

El Grand Moff l'è minga un loff
Buffo, dopo quarant'anni, ritrovarsi fuori dall'ultimo episodio di Guerre Stellari con il medesimo sorriso beota in faccia. A maggior ragione considerando la mezza delusione di Episodio VII, il suo script da manuale Cencelli del fan service, il cinismo bottegaio nei confronti delle icone create da George Lucas, i suoi ammiccamenti da cash cow.
E invece, tie': a debita distanza dal centro della galassia lontana lontana, Gareth Edwards raccoglie il pizzino seminato dal leggendario responsabile degli effetti speciali ILM John Knoll, e confeziona un film (quasi) all'altezza del prototipo. Meglio: un film per chi era là quarant'anni fa. E lo fa restando fedele all'essenza della fiaba originale e dei suoi archetipi junghiani, senza indulgere in (inutili) sentimentalismi nei confronti dei personaggi, usando lo humour con parsimonia ed essenzialità, lavorando duro sul linguaggio visivo per riportare l'Impero dalla parte giusta della barricata, quella dei malvagi senza redenzione. Ed ecco lo Star Wars che stavate cercando e che in tantissimi avete lungamente atteso, rosicando di fronte ai peluche degli assaltatori imperiali o alle sneaker da conducente di AT-AT. Fulminatori rigorosamente puntati sotto la cintura, character ambigui, mai troppo rassicuranti né simpatici, cattivi nazi, battaglie campali sopra e sotto l'orizzonte. E a incombere su tutto, l'ombra di una Morte Nera minacciosa quanto nel 1977.
Ci voleva un film così, per cancellare dal palato il gusto dolciastro della premiata fabbrica di giocattoli JJ. Abrams & Co. E la Lucasfilm è riuscita nell'impresa. Questo vale molto più dei difetti del film - il 3D totalmente gratis, la regia impersonale ma serviceable, la recitazione un po' monocorde di alcuni membri del cast, la partenza da Diesel, i troppi finali. E lascia addosso la voglia di tornare nello spazio il prima possibile. Non era scontato.