lunedì 31 agosto 2015

mercoledì 19 agosto 2015

AbBATtuta


Ciaone al sogno fetish giovanile di tutti noi, la bellissima Yvonne Craig. 

martedì 18 agosto 2015

Bella Z.I.O.

Vacanze romane
A maneggiare il post-pop, c'è il rischio di farsi del gran male. Così Matthew Vaughn, che solo qualche mese fa, con Kingsman - The Secret Service ha consegnato agli annali un film intimamente sbagliato, troppo zarro per i palati fini e troppo fighetto per i veri zarri. Ma chi il post-pop lo coltiva consapevolmente, nel glamour ci sguazza come una pantegana in una forma di zola al cucchiaio: così, spazio a Guy Ritchie, che con  Operazione U.N.C.L.E. ha scitto una nuova pagina di una filmografia che da Lock & Stock - Pazzi scatenati a Snatch a Rocknrolla a Sherlock Holmes ha composto infinite e sapide variazioni sul tema frusto e strafrusto del Buddy Movie, e ogni volta centrando il punto Dopo la Londra dei bassifondi e i salotti vittoriani, a questo giro l'aggiornamento di sistema tocca alla Roma godona degli Swinging sixties: un gruppo di fascionostalgici degno di un fumetto di Magnus si è ciulato una testata atomica all'indomani della Crisi dei missili di Cuba, e solo due persone al mondo sono in grado di fermarli: lo yankee Napoleon Solo (nella serie Tv originale che in Italia conosciamo in quattro, Robert Vaughn) e il russo Ilya Kuriakin (Nella serie Tv originale, David McCallum). Roba frusta e strafrusta, si diceva, per lo più figlia di un development hell durato un decennio per banali questioni di budget. Ma tutto questo, al cinema, non si vede. La trama scoppietta di battute snappy e colpi di scena, Superman e Lone Ranger sono assortiti come nelle vecchie pubblicità dei Super-Eroi Harbert, la fotografia riesce a far splendere anche la Rometta abbacchiata dei Casamonica, il gloss d'epoca qua e là è bugiardello ma irresistibile. Vista l'overdose di spie e l'imminenza del prossimo 007, la tentazione sarebbe quella di recuperarlo in Tv. E sarebbe un peccato, perché il cinema quando ci vuole ci vuole.

Dimenticato, un cazzo



Undici anni dopo il 26 agosto 2004, cercare Enzo Baldoni in Rete è un esercizio dal sapore amaramente surreale. C'è la balistica, c'è l'aneddotica, c'è l'amarezza orgogliosa dei familiari. Permane il lezzo delle formidabili stronzate scritte sull'argomento da chi ancora oggi continua a sostenere la teoria della guerra giusta (purché, ovviamente, ci crepino gli altri). E il dispiacere che i blog scritti da EGB durante le sue gitarelle fra Messico, Timor Est, Colombia eccetera siano tutti off line a eccezione di Bloghdad, ancora disponibile in .pdf grazie alla irriducibile Monica Rigato.
Per fortuna, a tenere accesa la fiammella provvedono le cronache dei tanti Enzo Baldoni ammazzati in giro per il mondo nel tentativo di raccontare realtà scomode. L'ultimo in ordine di tempo è il messicano Ruben Espinosa, torturato e poi giustiziato nella Capitale il 31 luglio scorso per aver tentato di rompere il silenzio sulle collusioni fra narcomafia e politica nello stato del Veracruz. Ma prima di lui ci sono Wolinski e i redattori di Charlie Hebdo. E i due turisti intelligenti James Foley e Steven Sotloff, scannati dall'Isis proprio un'estate fa. E il siriano Mahran al Deeri, ucciso nel dicembre 2014. E gli altri 100 e passa reporter passati a miglior vita fra il 2014 e il 2015 per aver fatto il proprio mestiere. Ecco, ogni volta che la Rete, i giornali e la Tv mi mettono di fronte la foto di un reporter ucciso per essere stato troppo curioso, troppo rigoroso, troppo sorridente, troppo acuto, la testa torna a quel 26 agosto del 2004, a Najaf. Purtroppo, sempre per i motivi sbagliati.