martedì 19 maggio 2015

Attrazione fatale

Futuro, anteriore

In Tomorrowland - il mondo di domani c'è un bel po' di roba che funziona.
Per esempio, la regia a centottanta all'ora di Brad Bird. Che per Tomorrowland, va detto, ha rimbalzato la regia di Star Wars VII.
Il Production Design retrofuturista di Scott Chambliss.
Il montaggio spaccaculi di Walter Murch.
L'idea di un film di fantascienza young adults originale. Almeno nella misura in cui può esserlo una pellicola ispirata a un'attrazione di Disneyland (la più popolare di sempre, secondo le cronache).
E poi c'è Damon Lindelof.
Che in mancanza del potenziale narrativo già presente in attrazioni già tradotte in cinema come Pirati Dei Caraibi o La Casa dei fantasmi ha arruolato come co-sceneggiatore Jeff Jensen, già su Lost. E si è inventato una specie di Interstellar per bambini però infrociato con Terminator più una spruzzatina di Elysium e suggestioni giappo stile Chobits più un sacco di altre cazzatielle messe lì giusto per riempire una trama già bella articolata e densa di suo.
Il risultato è un blockbuster diesel che prende quota lentamente prima di esplodere letteralmente come un fuoco d'artificio digitale. Un film piuttosto diseguale, perennemente in bilico fra commedia e dramma, aperture tipicamente disneyane e provocazioni mutanti à la Cronenberg, ebbrezze visive e seduzioni impossibili, uno spettacolone glassato di zuccherosa spensieratezza ma con un cuore freddo e venato di malinconia: troppo adulto per i ragazzini, troppo ragazzino per i grandi. Il perfetto aperitivo live action all'altra pellicola Disney della stagione, quell'Inside Out che già si profila all'orizzonte come un nuovo capolavoro Pixar. 

venerdì 15 maggio 2015

Una vita al Max

Vroom Vroom

E all'improvviso, tutto il cinema action degli ultimi cinque anni s'impolvera tutto d'un colpo, con tutti i suoi sbrilluccichi gli effetti digitali i cieli corruschi i nuvoloni i six-packs a tutto il resto. A rimettere a posto le cose ci pensa George Miller. Un senior, con le sue settanta primavere e i suoi acciacchi anche cinematografici, che non tutto il suo CV è al di sopra di ogni sospetto. Però, un cineasta curioso, che quando occorre riesce a prendersi i suoi rischi, vedi Babe-Maialino coraggioso e i pinguini danzerini di Happy Feet. Anche tirar fuori dalla naftalina Mad Max, a dirla tutta, era una bella scommessa: un personaggio esploso alla grande a fine Anni Settanta con Interceptor e poi diluito in dosi sempre più omeopatiche durante la decade successiva fino alla deriva glam di Mad Max - Oltre la sfera del tuono. Un protagonista iconico come Mel Gibson da sostituire per sopraggiunti limiti d'età. E una concorrenza spietata in termini di ottani, muscolarità e impatto visivo. A uscire triturata da questo Mad Max: Fury Road, però, è proprio quella certa idea di cinema che a suon di giochi di prestigio generati dal computer ha tolto al cinema de suore e de mena' tutto il suo senso del meraviglioso. Perché nel nuovo episodio della serie (è un prequel? È un sequel? È un reboot? Chi se ne fotte) gli effetti ottici sono ridotti al 20% contro un 80% di effetti meccanici, shunt, coreografie e fabulae. E quindi: macchine da presa e da battaglia sempre piazzate nei punti giusti, a tradurre in un impatto visuale mozzafiato i panorami gialli e rossi della Namibia in cui è girato il film. Un'estetica grafica e narrativa sempre coesa e funzionale alla trama, con infinite allusioni a un universo espanso punteggiato di rituali, tic, vezzi, slogan, routine, maschere, tatuaggi, eccetera, tutta roba che aggiunge spessore e senso epico al racconto (d'evasione). Un cast perfetto, con tanto di cameo della ex Wonder Woman Megan Gale. e last but not least, azione. Tanta. Adrenalinica. Brutale (nei limiti del PG-13). A ben guardare, anzi, il film in sé è una ininterrotta sequenza d'azione di un'ora e cinquantatré minuti, con meno battute che un blocchetto di Post-It ma più ciccia e solidità del novanta per cento dei blockbusters in circolazione. L'unico neo, a ben guardare, sta nel finale aperto, chiaro annuncio di prossimi episodi. Perché un giocattolo di questa fatta dà tanta soddisfazione che viene difficile pensare a un seguito sullo stesso livello. L'augurio è che George Miller non perda la voglia di sperimentare: di turisti dei popcorn movie in giro ce n'è già più che a sufficienza.