giovedì 23 luglio 2015

Anche le formiche nel loro piccolo incassano

Positive buzz
Primo film della fase tre o ultimo della fase due? Dispute di lana caprina in salsa nerd. Nonostante le difficoltà produttive che ne hanno segnato la realizzazione, il passaggio di mano fra Edgar Wright e il carneade Peyton Reed, il budget discreto ma non stellare e un cattivo che sembra una copia carbone dell'Obadiah Stane di Iron Man, Ant-Man è una action comedy niente male. Merito di una sceneggiatura che ibrida disinvoltamente la più classica delle storie di origini con il più classico degli heist movie, senza dimenticare che un cinefumetto Marvel ha sempre il sorriso sulle labbra. Un film per famiglie nell'accezione più positiva del termine, buono per gli spettatori da 9 a 99 anni, sorretto da una regia non personalissima ma minimale e scattante come una formica e da un cast che trova i suoi migliori interpreti nell'eroe riluttante Paul Rudd e nel grande vecchio Michael Douglas, gigione ma misurato. Per portare sullo schermo l'improbabile micronauta lanciato da Stan Lee e Jack Kirby su Tales to Astonish # 27 (1962) ci volevano coraggio, danè e la capacità di garantire allo spettatore la sospensione dell'incredulità necessaria per credere che un uomo possa rimpicciolire a dimensioni lillipuziane. Finora, il colpo era riuscito solo a Richard Fleischer in Viaggio allucinante e a Joe Dante in Salto nel buio: ma come dice il vecchio detto, non c'è due senza tre. Ora non resta che convincere i tantissimi che ancora non hanno letto La fisica dei supereroi (consigliatissimo, anche sotto l'ombrellone) che un uomo in grado di farsi piccino picciò sia in grado di diventare alto quanto la statua della libertà: ma per quello c'è il prossimo capitolo degli Avengers, puntualmente annunciato nella scena post-crediti.

Corto circuito



È un film che arriva sugli schermi con una buona ventina d'anni di ritardo questo Pixels di Chris Columbus. Dalle parti di metà anni 90, l'effetto nostalgia per pellicole come Ghostbusters e videogame coin-op seminali come Pac-Man o Donkey Kong avrebbe senz'altro conquistato i cuori e le menti di tutti i figli del Boom. Ma arrivando nel 2015, per di più dopo un piccolo gioiello furbetto e citazionista come il disneyano Ralph Spaccatutto, il blockbuster a 8 Bit della Sony appare irrimediabilmente anacronistico sotto tutti i punti di vista che contano - scrittura, caratterizzazione dei personaggi, mix di azione e commedia, spirito globale. E dunque: film rigorosamente per ragazzini, che però per ragioni meramente anagrafiche i rutilanti eighties non li hanno visti nemmeno con il binocolo, E mentre loro stanno lì a chiedersi chi cacchio sono i mostrilli scalettati che vogliono distruggere il mondo e soprattutto perché mai dovrebbero preferirli a Call of Duty, i loro papà possono contorcersi sulle poltrone ricordando il peggio degli 80s: le performance attoriali di Bombolo e Cannavale, i doppi sensi delle commedie sexy, il product placement dei migliori film di Castellano & Pipolo. Unica luce nel buio, il trucchetto di far parlare gli alieni invasori sotto mentite spoglie videoludiche con gli spezzoni dei vecchi telefilm. Ma anche lì, il rischio corto circuito è elevatissimo: perché rendersi conto di faticare a riconoscere Hall senza Oates ti fa pensare di essere obsoleto. Come certo cinema.

martedì 21 luglio 2015

sabato 18 luglio 2015

A favore di Contro

Bù!
Forse non è un caso che Gianmaria Contro abbia atteso quasi tre annate di LeStorie per fare il suo debutto sulla collana. Il lavoro di curatore di testata lascia davvero poco spazio alla scrittura. In più, l'orrore gotico, con i suoi chiaroscuri, le sue ricercatezze linguistiche e i suoi giochi di atmosfere, richiede cesellature e tempi più lunghi di altri stili narrativi prèt-à-porter. Sta di fatto che leggendo L'innocente, trentaquattresimo numero della testata Bonelli una-botta-e-via, viene da sperare che Contro scriva di più, è più spesso: il suo thriller molto Visconti, molto Poe e una spruzzatina di Tim Burton, con le sue temperature da rigor mortis, è in grado di riservare freschi brividi anche ai lettori più incalliti. Parte del merito è anche del disegnatore Francesco Ripoli, qui alla sua seconda LaStoria dopo Il lungo inverno, e autore di una prova assolutamente maiuscola in grado di far dimenticare le (pochissime) sbavature del suo primo confronto con la inossidabile gabbia Bonelliana.  Da leggere anche il primo numero della miniserie Tropical Blues, scritta da Luigi Mignacco e disegnata da Marco Foderà: un ibrido dichiarato fra le ambientazioni esotiche di Hugo Pratt, e le atmosfere ruvidamente pop di fiori all'occhiello della casa editrice come "Mister No", per una lettura che fila via placida e scorrevole come una vela sull'oceano e lascia addosso quel piacevole senso di insoddisfazione dei migliori feuilleton a puntate. Due esempi fra i tanti, per dimostrare che la nuova Sergio Bonelli Editore non è poi così immobile/farraginosa/autoreferenziale come la si dipinge: in realtà, nell'estate di via Buonarroti c'è molto di fresco sotto il sole.