Dei Beatles wannabees progressivi, con un autentico talento per le sviolinate discotecare à la Barry White: questa, in sostanza, la formula degli Electric Light Orchestra di Jeff Lynne, poi nei Travelling Wilburys e al fianco di Mr. Harrison e Mc Cartney in altre avventure ad alta fedeltà. Io ebbi in musicassetta questo disco, di cui ricordo con piacere soprattutto la copertina taleban-glam. Mi piaciucchiavano "Shine a Little Love" e "Last Train to London". "Don't Bring me Down", singolone con vaghi sapori T-Rex e falsetti intollerabili, invece, mi indisponeva. Ovviamente, andò benissimo. Nota bene: pare incredibbole, ma erano già i tempi del punk. Sigh.
(E sì, sto barando, perché gli ELO me li ero già ricordati un par d'anni fa. Diciamo che me li ri-ricordo meglio e via, va'.)
martedì 5 marzo 2013
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2 commenti:
La cover di Discovery non è una foto di scena de Lo Sceicco Bianco rielaborata per sembrare un lavoro di Jan Saudek - come sostiene per esempio Roy Orbison - ma un fotogramma, rarissimo, del provino di un giovane Rutelli per un mai realizzato The Man Who Fell to Earth che Fellini intendeva trarre dal romanzo di Walter Tevis.
Il regista dei Vitelloni fu distratto dal funereo Casanova, mollò la faccenda a Roeg e versò una sola lacrimuccia al pensiero di cosa sarebbe stato quello sci-fi sul Tevere davanti all'Albertone nazionale che tentò di calarsi nei panni dell'avventuriero veneziano, ma ormai era in fissa per quell'altra roba greca che fa rima con eros e piegò Don Shuterland a quella cosa dark e consegnò il Francesco-allora-radicale alla cosa pubblica. Peccato?
Peccato, senz'altro.
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