Alla fine il nuovo governissimo di destra presentabile è quasi riuscito laddove il precedente governicchio di destra impresentabile aveva toppato: da oggi, il manifesto è in liquidazione coatta amministrativa. In soldoni, a gestire l'ordinaria amministrazione del quotidiano non è più la cooperativa editoriale il manifesto, ma un simpatico contabile ministeriale.
Salvo ripensamenti della premiata ditta Mario Monti & figli, che in termini di ripristino dei fondi continua a fare come quei genitori che alle istanze dei pargoli ripetono come un disco rotto vediamo vediamo e intanto sotto con la resistenza passiva, che poi si vedrà, presto toccherà chiudere baracca.
Cui prodest?
Be', intanto conviene a Il Fatto quotidiano. che in questi mesi ha tuonato contro i contributi pubblici all'editoria per tirar lettori al suo mulino. E pazienza se poi pure il Fatto percepisce i suoi bei contributi per le tariffe postali agevolate, l'importante è fottere la concorrenza.
Poi, la chiusura del manifesto conviene a tutti quelli che lo gradiscono chiuso. In primi, i destrorsi beceri, che quelli un po' più aperti una sbirciatina te la concedono, perché conoscere il nemico è sempre utile. Ma anche i pasdaràn di confindustria, perché giornalisti come Loris Campetti sono sempre lì a denunciarne le soperchierie. E ancora molti lettori in odor di sacrestia che non sanno quello che fanno, ma nemmeno che sul manifesto hanno scritto ottimi diavoli come Padre Enzo Mazzi e Adriana Zarri. E per finire, tutti quelli che soffrono i discorsi sui massimi sistemi economici e sociali dei vari Galapagos o Dal Lago, o i reportage glocal di Astrit Dakli o Marco D'Eramo. C'è spazio anche per i detrattori di Alias: con un po' di fortuna, presto anche quello finirà nel dimenticatoio. Perché questo è un Paese con la memoria corta.
A chi invece il manifesto lo ama, non resta che una cosa da fare: continuare a sostenere il giornale finché il giornale resta in vita. Si tratta di investire un euro e cinquanta al giorno. Uno sproposito, finché si resta nell'ottica del mercato. Pochissimo, se si parte dal principio che la libertà, anche quella di stampa, non ha prezzo. Avrà più valore la liquida azione di chi sostiene il giornale con i suoi liquidi o la liquidazione di chi lo vede già lontano dalle edicole? Chi lo sa. Per ora, l'unica è provarci.
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venerdì 10 febbraio 2012
Liquidazione o liquida azione?
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7 commenti:
Investo volentieri il mio euro e cinquanta.
Pecunia, come si dice, non olet; quindi spero che ai tuoi amici manifesti non dispiaccia il (dis)amichevole sostegno di un vecchio socialista nazionale come il sottoscritto.
Ora più che mai, a mio avviso vale la storica massima di Mao: non importa di che colore sia il gatto, basta che ammazzi il topo.
In altre parole, chiunque oggi si opponga a questo inquietante governo delle banche e dei poteri forti ("presentabile"? Ma dove? Forse nei salotti della Trilateral Commission...) lo considero non dico un mio alleato, ma quantomeno uno con cui provare a percorrere un pezzetto di strada assieme.
Anche se, con il passare del tempo, la speranza che tutto questo serva davvero a qualcosa si fa sempre più flebile...
Speranza, pochina. E umori plumbei, visto il tenore delle novità. In quanto al "presentabile" è un aggettivo non disgiunto da un fremito d'ironia. Ma come amo dire al bar, se sei abituato a farti violentare davanti e dietro prima e dopo i pasti, essere preso a calci nel sedere può passare per un bel miglioramento.
L'euro e cinquanta credo sarà graditissimo, a maggior ragione visto il valore simbolico. Però questa a Polo la devo proprio raccontare.
ok fatta, mi hai convinto, domani dopo il tram e la metro, insieme ai fumetti ci sarà un bel giornale da leggere sotto il mio braccio sinistro. Per il resto... auguro ogni bene alla libertà di stampa, e complimenti per il post, comunicare una situazione, far circolare le idee merita sempre un plauso.
Io però cerco di capire che una cosa non mi è chiara.
Il problema è che il quotidiano vende poco e quindi non ce la fa a far quadrare i conti, giusto?
E quindi, chiude.
Mi spiegate dove sta la cosa innaturale?
Che per anni, questo sì, innaturalmente, tanti quotidiani siano stati tenuti in vita, artificialmente, grazie alle sovvenzioni statali?
Non voglio essere polemico è che proprio non capisco.
Perché un quotidiano (politico o meno che sia) dovrebbe sfuggire alle leggi del libero mercato che valgono per tutti gli altri?
Provo a risponderti con una provocazione, Rrobe.
O con una constatazione.
Il libero mercato dell'informazione non esiste.
E le leggi non sono uguali per tutti.
Tanto per restare sul tema, cioè sui contributi pubblici alle imprese editoriali, Mondadori Rcs e tanti altri continuano a percepire i loro bei rimborsi. Come pure gli organi ufficiali di partito: fra i beneficiari più recenti, c'è "La responsabilità" (sic), il periodico di Scilipoti. A essere ridotte al lumicino sono state solo le cooperative giornalistiche. Quelle che, guarda caso, pubblicano testate che danno fastidio agli inserzionisti pubblicitari, alle lobby eccetera. E che proprio per questo, in un mercato che si presuppone plurale, andrebbero agevolate.
Il problema non è quello dei contributi pubblici ma di come vengono dati. Lo stato ha il dovere di sostenere informazione e cultura, non esiste solo il mercato. Almeno non dovrebbe esserci solo…
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