lunedì 15 dicembre 2008

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C’è del metodo, nella follia di Gipi. Anzi, a dirla tutta, forse ce n’è troppo. È proprio questo che appesantisce l’ultima opera dell’autore pisano, “La Mia Vita Disegnata Male”: un fumetto che si sforza di sembrare fatto di stomaco, e invece ha il gusto metallico di un prodotto molto cerebrale. Il tutto, intendiamoci, potrebbe anche andare bene. Se non fosse che storie di questo genere, fra gli Anni 70 e gli Anni 80, ne sono uscite a mazzi. E portavano la firma di uno che aveva il dono di riuscire a bilanciare panza e cervello, minimalismo e grandeur, humour e dramma, provincialismo e cosmopolitismo senza sforzo apparente.
Sì chiamava Andrea Pazienza, e come lui non c'è nessuno.
Il fantasma più ingombrante, in “La Mia Vita Disegnata Male”, è proprio quello di Paz. La struttura non lineare della storia, i tormentoni ad altezza bassoventre, le storie di vita, le digressioni oniriche ricordano “Pentothal”, “Pompeo”, e tutte le cose migliori prodotte dall’artista di San Severo nel corso della sua breve ma fulminante avventura umana. A mancare, però, sono l’immediatezza di Paz, la sua formidabile capacità di sintesi, la sua carnalità, le sue esplosioni di ferocia. Tutte doti di cui Gipi sembra scarico, e a cui tenta di supplire, forse consapevolmente, lavorando di cesello sulla regia e sul montaggio delle tavole.
Il risultato è un fumetto “carino”, molto compiaciuto e molto diseguale, che trova i suoi momenti migliori in certe istantanee alla Zanardi o alla Giuli Bai o nell’alternanza di pieni e di vuoti delle tavole più belle. Più un “conversation piece” da esporre in salotto nelle serate fra radicalscic, insomma, che una madeleinette anni 80 da conservare in fondo al cuore.
E senz’altro, non il ca-po-la-vo-ro as-so-lu-to! di cui si vocifera da settimane.
Un po’ di misura, eccheccazzo.

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