venerdì 16 novembre 2012

Guacamole

Intendiamoci: non è che prima mi riuscisse male, il guacamole.
Però i miei nuovi quarti di sangue nativo americano mi hanno trasformato in un gran sacerdote del prelibato antojito locale. La deliziosa cremazza verdolina che contende ai frijoles refritos il primo posto nella classifica latina delle robe buone da mangiare ormai mi viene talmente bene che posso prepararla a occhi chiusi. diffondere il verbo è praticamente un dovere morale.
Per fare un guacamole come si deve occorrono prima di tutto le avocado. Non la fuffa israeliana che ti rifilano nei supermercati, però. Meglio andare a caccia delle bombette peruviane tutto sapore che vendono nei negozietti di roba latinoamericana, o per chi sta a Milano al mercato comunale di piazza XXIV maggio, piccole, profumate e saponose. Servono mature, quasi fraciche, e con la buccia di un bel colore marrone scurissimo, quasi nero. Quantità: una a testa. Se il guaca è per uno, due avocado, che è meglio abbondare. Se è per due, due. Se e per tre, tre. E così via.
Poi, la cipolla. Poca ma giusta, meglio bianca ma se è rossa non è una tragedia. Per un piattino bello saporito basta un quarto di cipolla di grandezza media ogni due avocado. Di più è troppa e ammazza tutto il resto. Insieme alla cipolla tritiamo con la mezzaluna fino a ridurlo a purea un bel mazzetto di coriandolo fresco rimediato sempre in un negozio di cibi latinos. Niente prezzemolo: ci somiglia, ma come Giusy Ferreri a Amy Winehouse, a occhio siamo lì, ma timbro, fremiti ed estensione sono completamente diversi. Spiaccichiamo le avocado belle mature in una fondina con una forchetta, niente minipimer, fino a ottenere un impasto di consistenza grumosa e uniamo al tutto la purea di cipolla e coriandolo amalgamando bene. Diluiamo il tutto con il succo di mezzo lime e un cucchiaio di olio extravergine d'oliva, continuando a sgigotare il tutto bei tranquilli fino a ottenere una consistenza tipo purea di patate un po' lento. Una presina di sale e una spruzzatina di salsa piccante al peperoncino, meglio se originale messichese, completano il tutto.
Servire bello fresco, insieme a una quintalata di totopos, che noi animali da cortile senza cultura specifica chiamiamo volgarmente triangolini di mais, e il gioco è fatto: buen provecho, cabroncitos.
(e no, questa non è la prima lezione di "in cucina col Voglino". È solo la prova ontologica del fatto che l'ammmore passa sempre dalla porta della cucina. Anche quello paterno.

2 commenti:

Chiara Trabella ha detto...

Il problema degli avocado in casa mia è che non fanno in tempo a diventare guacamole: vengono mangiati direttamente così come sono, giusto con un po' di sale e pepe.
A me li consegnava buoni la Bioexpress (sai, noi provinciali non abbiamo i negozietti latinoamericani, mannaggia!), ma ormai sono 6 mesi che non sono in assortimento. Ed io patisco...

michele petrucci ha detto...

Un'amica messicana mi ha suggerito di usare peperoncini jalapeno che si trovano anche in Italia…:)