lunedì 14 ottobre 2013

Orfani: la recensione

Orfanotrophy
Prima di tutto, William Golding, col pattuglione di preadolescenti traumatizzati che uniti da improvviso cataclisma maturano anzitempo, smarrendo parte della propria umanità. Poi, tante suggestioni da film e videogame Sci-Fi più o meno recenti: le astronavi di Aliens - Scontro finale e Avatar, l'arsenale di Starship Troopers - Fanteria dello spazio, i costumi di Star Wars e Halo. Per finire, i dialoghi sparsi e il montaggio tipici dei comic book supereroistici. Il tutto, incastrato nella gabbia a sei vignette dei classici albi Bonelli, stavolta nella meraviglia del technicolor. Ha tutte le carte in regola per fare ballare l'occhio  Orfani, la maxiserie che segna la definitiva consacrazione di Roberto Recchioni nel gotha del fumetto italiano dopo una lunga e talvolta succulenta gavetta come autore "indie". E se John Doe e David Murphy 911 traboccavano di consapevoli inchini a una platea sempre in sintonia con le derive citazioniste dello sceneggiatore romano - ma meglio evitarli, certi termini: lui si sente un nerd adulto e consapevole, non un post-modernista - qui l'approccio appare più elegante e ambizioso, con un plot frammentato nei mille rivoli di un cast magari non sempre dentro le righe però eterogeneo e interessante, e un approccio narrativo e grafico che il segno essenziale di Emiliano Mammuccari e il colore insaporiscono con lampi di dinamismo cristallino, puro cinema stampato. Per cogliere l'ampiezza dell'affresco, tocca aspettare: come tanti altri "numeri uno" arrivati in edicola in questi mesi, Orfani non concede al lettore che un grande fuoco d'artificio e piccoli indizi sul senso o sulla direzione che prenderà la storia da qui in poi, chiudendo su una foto di gruppo con vista sul futuro. In the big picture, l'impressione è che lo sforzo meritorio degli autori sia quello di voler fare scouting in fasce di pubblico che ai tempi di Tex o Dylan Dog erano di là da venire, e sono passate direttamente da Topolino alla PlayStation 3 alle app dei cellulari. Una generazione perduta (solo fumettisticamente?) che, coi giusti stimoli, potrebbe dare nuova linfa all'asfittico parco lettori italiano. Il rischio calcolato è che i lettori storici del Ranger dalla camicia gialla e di tutti i suoi colleghi di scuderia nati fra gli Anni 60 e 90 non siano tipi da Orfani. Ma dopotutto, è un po' come quando i dinosauri del Prog hanno dato un taglio al passato per cominciare a sfornare levigatissime produzioni pop: l'aria rarefatta dell'alta classifica, il successo commerciale, il piacere di un cambio imprevisto di scenario valgono bene qualche sopracciglio alzato. Anche in uno scenario (solo apparentemente) conservatore come quello di via Buonarroti.

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