domenica 26 aprile 2009

Ciao, Vito


A quattordici anni suonati, il cuore del nostro cane pompava ancora come un orologio svizzero.
A tradirlo è stata la testa. La stessa testaccia sbirola che a tre mesi l'aveva spinto a farsi fuori un pacco di crocchette da cinque chili, lui che di chili ne pesava otto, lasciandomelo panza e zampe all'aria sul pavimento della cucina. La stessa testaccia matta che in gioventù gli aveva suggerito di buttarsi nel Ticino, mollandomi sulla riva in preda al terrore di vederlo sparire nella corrente limacciosa, o che gli permetteva di percepire lo scrocchio goloso di un pacchetto di biscotti a chilometri di distanza.
Dai sintomi sembra un tumore al cervello, dice il veterinario. Se volessimo, potrebbe provare a rimetterlo in sesto. Ma vedendolo in coma, con la lingua inerte fra le mascelle e le zampe rattrappite dagli spasmi delle crisi epilettiche che hanno squassato la sua ultima notte su questo pianeta, non ce la sentiamo di accanirci.
Il dottore gli rasa l'avambraccio, mentre io e mio padre continuiamo ad accarezzarlo piano. Poi, con un gesto delicato e deciso, punta un ago a farfalla nell'arteria. Tre piccole gocce di sangue schizzano sul lenzuolo con il quale l'abbiamo trasportato fino all'ambulatorio.
La prima iniezione è Penthotal. Appena entra in circolo, il respiro di Vito si fa più regolare, e in pochi minuti i tremori cessano. Finalmente si è addormentato. Bravo, cane, bravo.
Poi viene il turno della seconda iniezione, quella che blocca il cuore e le vie respiratorie.
Non mollare, mi ripeto, non mollare, non è la prima volta che ti tocca, è un film che hai già visto, non puoi metterti a frignare come una mezzasega, cazzo, hai quarantatré anni, guarda tuo padre, guarda come è bravo, non fa una piega, guardalo.
Capisco che il cane non c'è più perché all'improvviso molla gli sfinteri e se la fa addosso. Pffft.
"Mi sa che è andato", sussurro, sempre continuando a far scorrere i palmi sul torace, su e giù.
Il dottore tira fuori lo stetoscopio, lo appoggia sul pelo color miele e fa sì con la testa.
"Se volete restare un po' soli con lui...". Sì, grazie, solo qualche minuto.
Guardo il mio cane e il mio cane guarda me, senza vedermi. Gli sfioro il muso. Ha un labbro fuori posto e un canino che spunta fuori e nella morte gli dà un'aria stupida e feroce.
Tento di sistemare il tutto, mentre lui continua a guardare fisso davanti a sé con l'occhio velato. Non ci riesco.
Il tempo di un paio di singulti strozzati, e comincia a raffreddarsi.
Quando io e mio padre torniamo in astanteria, i padroni di un micio dall'aria sconsolata che stava lì ad aspettare il suo turno ci fanno le condoglianze.
"Tanti auguri", dicono.
Fuori piove di brutto, come l'ultima volta che abbiamo dovuto far sopprimere un labrador agonizzante, quindici anni fa.
Torno a casa e guardo questa foto che tengo incorniciata nel soggiorno.
Qui Vito ha due mesi e mezzo, e sembra un po' infelice, perché me lo sono appena portato a casa dall'allevamento dove l'ho comprato.
Era l'unico della cucciolata che mi cagava zero, e forse gli manca un po' la mamma.
La foto gliel'ha fatta quella matta della mia coinquilina.
Lui ancora non lo sa, ma insieme ci divertiremo un sacco.
Gli voglio un bene matto, e gliene vorrò sempre.

Nessun commento: