Niente celebrazioni, alla fine di La battaglia dei cinque eserciti: il prezzo della gloria di cui Peter Jackson aveva sparso il profumo nei primi due film della saga qui stinge in un gusto dolciastro ferroso di sangue e morte. Due ore e mezza di guerra totale orchestrata con maestria da virtuoso ma con una gravitas anche visiva senza precedenti, per arrivare a un (un)happy end curiosamente fedele al romanzo originalequindi lontanissimo dalle aperture epiche ed elegiache di The Lord of the Rings. Tanti saluti all'azione slapstick e alle divagazioni ironiche e sentimentali dei due film precedenti: per l'epico finale del gran varietà tolkieniano mister Jackson ha guardato al fantasy fascio e corrusco di Milius o Boorman, a un'estetica da cupio dissolvi, alla pornografia della bella morte. Il risultato è uno spettacolo grandioso ma crudele che emoziona ma non diverte, seduce ma non appaga, esalta ma non consola. Uno sberleffo cattivo che trova le sue migliori frecce nelle ossessioni di rivalsa, amore o vittoria, e i suoi migliori interpreti nei villain - su tutti, l'ignobile Alfric Leccasputo. Una fuga in minore, insomma, con cui Jackson sembra sfanculare tutti coloro che per quasi vent'anni lo hanno tenuto incatenato alla terra di mezzo, e che non a caso si chiude metanarrativamente sullo sgombero forzato di casa Baggins. Non è più il tempo delle fiabe. Gli spettatori adulti e consapevoli prendano buona nota. E i bambini, a casa: di un film di Natale all'insegna dei maltrattamenti, giustamente non saprebbero che farsene.
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