martedì 12 aprile 2016

Spiriti animali

Seduction of the innocent
Sarebbe piaciuta al vecchio Walt questa nuova versione dei racconti del  "Jungle Book" di Rudyard Kipling? Per certi versi, senz'altro: anche una vecchia pellaccia come lui avrebbe sgranato gli occhioni di fronte al blend di immagini live-action e animazione digitale che fa di questo film un ibrido visivo degno del King Kong di Peter Jackson, l'oggetto cinematografico cui più somiglia. Difficile dire, invece, se Disney avrebbe gradito il senso generale del racconto: un coming of age che poco concede all'enfasi retorica e al sentimento, e soprattutto nelle battute finali traghetta il film in una dimensione da team-up supereroistico a due e quattro zampe. E sì, è vero, in realtà nei vari Libri delle Giungla di Kipling c'era anche e soprattutto questo, una perfetta metafora del colonialismo inglese e relativa superiorità del capitale (i "trucchi" del cucciolo d'uomo) rispetto alla legge di natura. Ed è vero anche questi non son più tempi in cui è lecito sdilinquirsi dietro ai begli occhi di una ragazzina in sari, che eventualmente quella è roba che verrà buona per il sequel, come pure che nel dilemma fra amore e guerra chi mena per primo mena du' vorte.
O forse, a pensarci bene, il segreto sta proprio in queste dissonanze fra vecchio e nuovo. Perché c'è da scommettere che di fronte a un Libro della Giungla così cazzuto ambizioso e post-moderno, ai più verrà voglia di fare il confronto con l'originale deliziosamente frivolo e beat di Wolfgang Reitherman. E lì sì che sarà vera irresistibile magia, con tanti bei Dvd e Blu-Ray e Digital Copy a rinverdire gli incassi. Perché anche quella è arte, un'arte che solo la Disney padroneggia con cotanto crudele savoir faire: alla concorrenza, solo poche briciole, lo stretto indispensabile.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

La legge di natura è sconfitta dalla superiorità nel colonialismo nei JB? Così su due piedi non mi convinci, ma forse ho capito male io.

Ripenso alle scimmie, derise, che pretendevano di imitare l'uomo, l'accettazione dei cicli della vita, il villaggio che fallisce nella sua conquista della jungla... per tacere del ruolo avuto da baloo, kaa, akela e bagheera, dal contenuto dei loro insegnamenti. Mowgli, del resto, non è un nobile inglese alla Tarzan, ma un ranocchietto figlio di indiani... o ricordo male io? Ho letto altre opere di kipling e concordo nella valutazione complessiva, ci mancherebbe, ma nello specifico dei due Libri della Jungla avevo percepito una diversa infatuazione, o un discorso molto più ampio sull'ordine divino (con tutte le sue implicazioni).

Oh, poi sarà colpa mia che i JB li ho letti e riletti, fanciullo, nei primi anni '70, circondato da fiori tra i capelli e tette al vento!

Best!

Marco Farinelli

Unknown ha detto...

C'è un bellissimo libro della Carocci, "Lo sguardo dell'altro" che va sul punto, concentrando l'analisi sulle doti degli eroi di Kipling: eroismo, lealtà, rettezza, intraprendenza... Praticamente un manuale di bon ton aggiornato all'era vittoriana e ovviamente in perfetta sintonia con i leit-motiv British che lo scrittore volente o nolente aveva nel Dna. Vero è che il suo punto di vista era filtrato attraverso la sua personalissima condizione di "cavallo di ritorno", nato in India da genitori inglesi, traghettato nel Regno Unito giovanissimo e rientrato nella Jungle dopo la, ehm, riformattazione: ma detto della sua personalità borderline, la mia impressione personale è che sì, anche nel Libro della Giungla civiltà batta istinto tre a zero. Tette al vento, sempre benissimo, purché non si tratti delle temute "tette a focaccia". Chapeau.